Presentazione e prefazione
Arte e Cultura > Narrativa > Canne al vento (G. Deledda)
A partire da oggi L’Astrolabio Online proporrà ai suoi lettori la lettura di un grande classico della narrativa mondiale: Canne al Vento di Grazia Deledda.
Lo faremo nella maniera usata un tempo, proporremo i capitoli del libro proprio come nel 1913, quando il capolavoro della Deledda, molto tempo prima che gli venisse assegnato, meritatamente, il Premio Nobel per la letteratura, uscì a puntate su una importante rivista dell’epoca.
Il sabato e il mercoledì verranno pubblicati i capitoli del libro.
Proprio come fece Dickens agli esordi della sua grande carriera di narratore e romanziere, quando scriveva i suoi romanzi a puntate sui giornali inglesi.
Chissà che questa nostra idea non contribuisca ad avvicinare alla lettura dei classici una parte dei nostri lettori.
Prefazione
“Canne al vento” è il romanzo di Grazia Deledda Premio Nobel per la Letteratura 1926: forse in Italia ci dimentichiamo un po’ troppo spesso dei nostri Premi Nobel, dimenticandoci che non vengono mai assegnati per caso, ma che ognuno degli scrittori che lo hanno ricevuto hanno raccontato con le loro opere il nostro paese e le sue contraddizioni sociali.
Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, questo è il suo nome completo, è una scrittrice nuorese, nata il 28 settembre 1871, deceduta nel 1936.
La Deledda è l’unica donna italiana a cui è stato assegnato il Nobel per la Letteratura, questa fu la motivazione: “per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”.
Il premio per la verità le fu consegnato l’anno dopo, nel 1927, perché proprio nel 1926 l’Accademia Svedese decise di non attribuire alcun Nobel per la Letteratura.
La scrittrice sarda fu candidata per molti anni al Nobel, la prima volta nel 1913, prima di poterne essere finalmente insignita.
Il romanzo. originariamente, era uscito a puntate su “L’Illustrazione Italiana” a partire dal 12 gennaio 1913 e qualche mese dopo venne pubblicato ufficialmente come libro.
Il titolo dell'opera allude al tema profondo della fragilità umana e del dolore dell'esistenza; in questa direzione smuove riflessioni e fantasie di un eroe protagonista, un eroe quasi primitivo, un semplice, assai simile al “pastore errante dell'Asia” del Leopardi a uno degli umili manzoniani.
Il rapporto di similitudine tra la condizione delle canne e la vita degli uomini, celebrato nel titolo del romanzo, proviene da un'opera del 1903: “Uomini siamo, Elias, uomini fragili come canne, pensaci bene. Al di sopra di noi c'è una forza che non possiamo vincere.”
Palcoscenico della vicenda sono le Baronie, una subregione della Sardegna nord-orientale, nel nuorese.
Il racconto espone le tematiche della povertà, dell’onore e della superstizione che nella Sardegna rurale degli inizi del ‘900 vengono raccontate con una grande forza descrittiva.
“Canne al vento” al lettore odierno, ripropone quel nodo insolubile che lega fortemente una civiltà solo in apparenza statica e quasi immobile, ancorata a millenarie usanze, e un’isola che vuole avanzare a grandi passi sulla via del progresso, dal mondo agricolo verso quello industriale.
In quell’epoca gli artisti si confrontavano sugli aspetti del progresso e della modernità, la Deledda molto sensibile agli aspetti storico culturali, coglieva il senso profondo e sconvolgente di quel mutamento in atto.
Il romanzo non è una storia fine a sé stessa, che può essere circoscritta ai confini della Sardegna, anzi possiamo affermare che quel che vale per la Sardegna vale anche per il resto dell'Italia di allora, e non solo: lo testimonia la grande e lunga notorietà che il romanzo ha avuto in tutto il mondo.

La trama
In un villaggio sardo, Galtellì, non lontano
dalla foce del Cedrino, sulla costa
tirrenica della Sardegna, vive la nobile famiglia Pintor: padre, madre e
quattro figlie. Il padre, Don Zame, rappresentato come rosso e violento come
il diavolo, è un uomo superbo e orgoglioso, anche prepotente e soprattutto
geloso dell'onore della famiglia e ne protegge il prestigio e la nobile
reputazione che gode in paese.
Le donne, dedite ai lavori domestici,
restano a casa. A questa condizione femminile si ribella solo Lia, la terza
delle sue figlie, la quale, trasgredendo le regole imposte dal genitore, fugge
sulla penisola per "prender parte alla festa della vita".
Approda a Civitavecchia, dove si
sposa e ha un figlio.
Don Zame sembra impazzire per lo
scandalo: "Un'ombra di morte gravò sulla casa: mai nel paese era
accaduto uno scandalo eguale; mai una fanciulla nobile e beneducata come Lia
era fuggita così."
Il padre, mentre va alla ricerca della
figlia, viene trovato misteriosamente morto sul ponte all'uscita dal paese. Il
fatto criminoso resterà avvolto in una sorta di mistero: disgrazia o delitto?
Quando il romanzo ha inizio, le dame
Pintor: Ruth, Ester e Noemi, assistono rassegnate al declino della loro
giovinezza, abitano in una casa oramai cadente e sono rimaste proprietarie di
un unico, piccolo podere appena sufficiente per il loro sostentamento.
La vita delle Pintor scorre in una
mestizia malinconica nella quale
sfuma il loro orgoglio, che ha qualche
guizzo di vita soprattutto in Noemi e meno nelle altre due sorelle più anziane,
provate dalla rinuncia e dall'aggravarsi della miseria.
Invano sono protette dalla dedizione
del servo Efix (Efisio è un nome
molto diffuso nel sud della Sardegna e si chiama così uno dei santi patroni
della città di Cagliari), legato a
loro, come il carnefice alla vittima, da un forte senso di colpa (infatti lui
per favorire la fuga di Lia, per cui aveva una devozione appassionata molto
simile all'amore, aveva accidentalmente ucciso il padrone). Egli sogna, con
pazienza e devozione, il rifiorire della casa e della casata.
Una speranza si accende con l'arrivo
di Giacinto.
Nella vicenda vagano molti personaggi
minori, membri della comunità e del gruppo, solidali e partecipi con la loro
primitiva saggezza: le giovani coetanee di Giacinto, i coetanei delle Pintor,
di Efix. Le reazioni all'arrivo di Giacinto sono minutamente descritte nei vari
meccanismi di accettazione e rifiuto, finché l'amore finisce per ristabilire un
nuovo equilibrio, che ciascun membro della comunità paga con la propria
esperienza e in misura adeguata al proprio ruolo.
Sono numerose le pagine memorabili del
romanzo che possono restare impresse nell'animo del lettore: partendo dal
personaggio di Efix e il suo mondo interiore, le sue riflessioni e le fantasie,
gli interni della casa, il paesaggio, i santuari e le feste, la iniziazione
difficile di Giacinto, l'amore di Noemi e quello di Grixenda per lui, quello
riconoscente delle dame per Efix, che si conclude nello splendido attittidu
(canto narrativo) della fine, quando donna Ester parla come in una nenia
funebre al servo morto, lo apostrofa e ne veste il cadavere leggero, sola nella
grande casa allietata dalle nozze di Noemi col cugino don Pedru.