Saffo: una poetessa da riscoprire
Arte e Cultura > Il viaggio di Ulisse a cura di Maria Chiara Dal Cero
Saffo, poetessa greca
vissuta tra il VII e il VI secolo a.C. Sull'isola di Lesbo, si può collocare a
pieno titolo tra i più importanti protagonisti della letteratura greca, se non
altro per quella parte che riguarda i poeti lirici caratterizzati da una
profonda percezione dell'amore, dello scontro e del rifiuto, varianti presenti,
a seconda dei casi, nelle loro opere.
Non voglio soffermarmi a
descrivere la vita o alcuni episodi di un’autrice così celebre e importante nella
sua epoca: per approfondire la conoscenza sulla sua vita, al giorno d’oggi esistono
mezzi a sufficienza ai cui affidarsi.
La mia analisi punta ad
osservare e a percepire i suoi sentimenti e la sua poesia, per cercare di
sfatare quell'idea che Saffo sia stata la prima donna omosessuale della storia,
come spesso erratamente viene ricordata.
Per capire meglio il contesto della Grecia antica bisogna
tener presente il contesto socio-culturale nel quale Saffo si trova ad essere
protagonista, in particolare quello dell'educazione femminile (in greco
traslitterato paideia, in cui si trova la stessa radice di pais,
bambino).
Il mondo greco di quel periodo aveva come
tradizione, valida per lo più per le classi altolocate, di educare i propri
fanciulli mandandoli in quello che noi oggi potremmo chiamare “collegio”: una
scuola dove si disciplinavano non solo le conoscenze, ma anche le sensazioni,
con particolare attenzione alla poesia. Questo valeva soprattutto per le
bambine e questa scuola si chiamava tiaso. Per i maschi si ritrovava lo
stesso tipo di attenzione, ma la formazione di un giovane doveva essere quella
soprattutto bellica, perciò i ragazzi prima di raggiungere l'età adulta
dovevano affrontare diverse prove di coraggio, come quella di rimanere per un
certo numero di giorni in un bosco e sopravvivere (un po' come Hansel e Gretel,
dato che queste prove di iniziazione sono un po' tipiche dei primordi dell'umanità).
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Ritornando alle ragazze, queste rimanevano presso
il tiaso un certo numero di anni, vedendo pochissimi ragazzi e raramente volte
la famiglia. In questa ‘scuola’ qui dovevano crescere, staccarsi dal mondo
delle bambole e dei gioghi, per diventare donne a tutti gli effetti, pronte per
di essere sposate e di svolgere il ruolo che la società di aspettava da loro: gestire
la casa (oikos). Sembra quindi che Saffo fosse a capo di uno di questi
tiasi e il pregiudizio a lei riversato di omosessualità nasce proprio dalla
considerazione che nella sua scuola di educazione aveva: lei viveva attorniata
di ragazze con le quali e per le quali scriveva poesie.
I frammenti storici e poetici rimasti nella storia
su Saffo narrano di amori difficili, anche se forse l'uso del termine ‘amore’
riportato alla lingua italiana, risulta troppo legato all’erotismo. Saffo,
piuttosto, sembrava essere molto affezionata
alle sue allieve, con le quali viveva per molti anni e a stretto contatto,
tanto che quando esse dovevano lasciare la sua scuola, il suo tiaso, per il
matrimonio (non c'è bisogno di dire che fossero combinati e che il verbo
“sposarsi” era distinto per i maschi da gameo che è una forma attiva
cioè “sposo”, mentre per le donne la forma era gamoumai, cioè “vengo
sposata” con una forma più passiva), lei si strugge e le piange.
In realtà, ad un'analisi più approfondita, non
sappiamo in grado di affermare con certezza se siano i suoi sentimenti i
protagonisti dei suoi scritti, poiché come tanti dimenticano, una poesia può
essere scritta in prima persona, ma senza veicolare necessariamente i sentimenti
dell'autore; diversamente può far fruire ai lettori le percezioni di un'altra
persona descritti dagli occhi di chi la osserva. Questo potrebbe fare Saffo:
mettersi dal punto di vista di un amante nei confronti dell'amato che se ne va
o che rifiuta i sentimenti. Altro non si può dire con certezza.
Riguardo all'omosessualità, tuttavia, non si può
affermare che nei tiasi femminili e nelle scuole maschili non si praticasse.
Era certo parte di un programma educativo che vedeva coinvolti i giovani (le
femmine si sposavano molto presto attorno ai 12 anni con uomini anche più
vecchi di molti anni) nei confronti dei loro precettori, ma tutto ciò poteva
avvenire solo fino alla raggiunta maturità fisica. Successivamente si
abbandonava la scuola di educazione e si era pronti a fare una vita da adulti
in tutti i sensi: partecipare alla vita politica e militare per i maschi e
occuparsi della casa e della famiglia per le femmine. L'omosessualità quindi
non aveva lo stesso significato che ha assunto nella nostra società, ma era
piuttosto una parte del processo educativo che coinvolgeva anche la sfera
sessuale insieme, per esempio, a quella letteraria.
L'isola di Lesbo au giorni nostri
Tra i frammenti di poesie scritte da Saffo e rimasti nella storia, voglio ricordare forse quello più noto che rappresenta sensazioni e emozione che uomini e donne come noi condividevano già molti anni prima di Cristo.
In questa poesia emerge, forse per la prima volta nella letteratura greca, la patologia dell'amore.
A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente.
Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda,
e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
(Traduzione di Salvatore Quasimodo)
Infine, per eliminare il pregiudizio di omosessualità di Saffo, riportiamo un aneddoto tramandato dall'antichità, secondo il quale Saffo si sarebbe innamorata di un giovane marinaio, Faone il suo nome, che non contraccambiando il suo amore, costringe la poetessa a gettarsi dalla rupe di Leucade.
Questa visione tragica sarebbe forse stata divulgata successivamente da una commedia, dal momento che in alcuni dei frammenti pervenutici si nomina spesso questo ignoto Faone, che probabilmente restò ignoto anche al pubblico del tempo e tutta la vicenda sarebbe quindi da attribuire al mito.
Nella sua vita dedicata alla paideia Saffo ebbe una figlia di nome Cleide, alla quale si pensa abbia dedicato alcune poesie.
La storia riporta che fu sposata con un uomo il cui nome pare sia Cecila di Andro.
Certo è che Saffo non passò indifferente ai poeti successivi che ne ripresero la sensibilità e la dolcezza a partire da Catullo fino ai poeti più moderni. Mi sembra quindi opportuno terminare con un carme proprio del poeta veronese, nel quale riprende chiaramente Saffo sia nelle parole, ma anche nel ricordo della sua amatissima Clodia soprannominata Lesbia e subito dopo con una ode dedicata da Saffo ad Afrodite e altri suoi versi.
Mi sembra che sia pari ad un dio
se è lecito, (mi sembra) che superi gli dèi,
colui che, sedendoti di fronte,
continuamente ti
guarda e (ti) ascolta
mentre sorridi dolcemente,
cosa questa che a me misero
strappa tutte le facoltà; infatti non appena,
o Lesbia, ti vedo, non mi rimane più
un fil di voce,
ma la lingua si intorpidisce, un fuoco sottile
si insinua sotto le membra,
per un suono interno
le orecchie rimbombano,
entrambi
gli occhi si annebbiano.
L’ozio, Catullo, ti è dannoso;
per l’ozio ti esalti e troppo smanii.
L’ozio ha mandato in rovina re e città
un tempo felici.
Gaio Valerio Catullo, il poeta dell'amore
LA DOLCE MELA
«Quale dolce mela che su alto
ramo rosseggia, alta sul più alto;
la dimenticarono i coglitori;
no, non fu dimenticata: invano
tentarono raggiungerla.»
ramo rosseggia, alta sul più alto;
la dimenticarono i coglitori;
no, non fu dimenticata: invano
tentarono raggiungerla.»
INNO AD AFRODITE
«Afrodite eterna, in variopinto soglio,
Di Zeus fìglia, artefice d'inganni,
O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio,
Di noie e affanni.
E traggi or quà, se mai pietosa un giorno,
Tutto a' miei prieghi il favor tuo donato,
Dal paterno venisti almo soggiorno,
Al cocchio aurato
Giugnendo il giogo. I passer lievi, belli
Te guidavano intorno al fosco suolo
Battendo i vanni spesseggianti, snelli
Tra l'aria e il polo,
Ma giunser ratti: tu di riso ornata
Poi la faccia immortal, qual soffra assalto
Di guai mi chiedi, e perché te, beata,
Chiami io dall'alto.
Qual cosa io voglio più che fatta sia
Al forsennato mio core, qual caggìa
Novello amor ne' miei lacci: chi, o mia
Saffo, ti oltraggia?
Se lei fugge, ben ti seguirà tra poco,
Doni farà, s'ella or ricusa i tuoi,
E s'ella non t'ama, la vedrai tosto in foco,
Se ancor nol vuoi.
Vienne pur ora, e sciogli a me la vita
D'ogni aspra cura, e quanto io ti domando
Che a me compiuto sia compi, e m'aita
meco pugnando.»
Di Zeus fìglia, artefice d'inganni,
O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio,
Di noie e affanni.
E traggi or quà, se mai pietosa un giorno,
Tutto a' miei prieghi il favor tuo donato,
Dal paterno venisti almo soggiorno,
Al cocchio aurato
Giugnendo il giogo. I passer lievi, belli
Te guidavano intorno al fosco suolo
Battendo i vanni spesseggianti, snelli
Tra l'aria e il polo,
Ma giunser ratti: tu di riso ornata
Poi la faccia immortal, qual soffra assalto
Di guai mi chiedi, e perché te, beata,
Chiami io dall'alto.
Qual cosa io voglio più che fatta sia
Al forsennato mio core, qual caggìa
Novello amor ne' miei lacci: chi, o mia
Saffo, ti oltraggia?
Se lei fugge, ben ti seguirà tra poco,
Doni farà, s'ella or ricusa i tuoi,
E s'ella non t'ama, la vedrai tosto in foco,
Se ancor nol vuoi.
Vienne pur ora, e sciogli a me la vita
D'ogni aspra cura, e quanto io ti domando
Che a me compiuto sia compi, e m'aita
meco pugnando.»
ODE ALLA GELOSIA
«Pari agli dèi mi appare lui, quell'uomo
che ti siede davanti e da vicino
ti ascolta: dolce suona la tua voce
e il tuo sorriso
accende il desiderio. E questo il cuore
mi fa scoppiare in petto: se ti guardo
per un istante, non mi esce un solo
filo di voce,
ma la lingua è spezzata, scorre esile
sotto la pelle subito una fiamma,
non vedo più con gli occhi, mi rimbombano
forte le orecchie,
e mi inonda un sudore freddo, un tremito
mi scuote tutta, e sono anche più pallida
dell'erba, e sento che non è lontana
per me la morte.
Ma tutto si sopporta, poiché ...»
ti ascolta: dolce suona la tua voce
e il tuo sorriso
accende il desiderio. E questo il cuore
mi fa scoppiare in petto: se ti guardo
per un istante, non mi esce un solo
filo di voce,
ma la lingua è spezzata, scorre esile
sotto la pelle subito una fiamma,
non vedo più con gli occhi, mi rimbombano
forte le orecchie,
e mi inonda un sudore freddo, un tremito
mi scuote tutta, e sono anche più pallida
dell'erba, e sento che non è lontana
per me la morte.
Ma tutto si sopporta, poiché ...»