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Intervista a Giovanni Margarone

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A TU PER TU CON LO SCRITTORE
GIOVANNI MARGARONE:

ASCOLTARE SOLO SE STESSI È UNA VIRTÙ, CONTRASTARE IL REGRESSO CULTURALE
È UN DOVERE


Di Francesca Ghezzani

Quando vi parlo dello scrittore Giovanni Margarone parlo prima di tutto di un uomo che vive di cultura e se ne nutre letteralmente.
Nato il 17 ottobre 1965 ad Alessandria da padre siciliano e madre ligure, vissuto in Liguria fino a ventun anni e poi trasferitosi in Friuli per motivi di lavoro nel 1986, è sempre stato infatti un lettore assiduo, cultore altresì di filosofia e musica. La scrittura e la musica, in particolare, sono stati, sin da quando era ragazzo, le sue vocazioni naturali; per questo a dodici anni, mentre intraprendeva lo studio del pianoforte, si cimentò a scrivere due romanzi, mai pubblicati, che gelosamente ha sempre conservato fra i suoi cimeli. Da allora, ha continuato a scrivere pensieri, brevi racconti che però ha sempre poi riposto nel cassetto, mentre tanti sono andati purtroppo perduti.
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Giovanni, sei reduce da numerosi riconoscimenti ottenuti a livello nazionale con le tue opere “Note fragili”, “Le ombre delle verità svelate” e “E ascoltai solo me stesso” pubblicata in seconda edizione dalla casa editrice Kimerik, ed è proprio su quest’ultimo romanzo che voglio soffermarmi per affrontare con te il tema del pregiudizio. Già il titolo ci preannuncia qualcosa in tal senso?

Direi che il significato precipuo del romanzo è condensato in quell’affermazione che ne è titolo.
È un pensiero introspettivo, che non può generare dubbi. Potrebbe stare lì da solo, senza una contestualizzazione qual è la vicenda del romanzo, perché ascoltare solo stessi è una virtù; essere scevri dal pensiero altrui significa ragionare con la propria testa e saper esprimere opinioni personali, facendo sì che la nostra mentalità sia guidata solo dalla nostra ragione. È un principio illuministico, in cui la ragione è appartenenza dell’individuo senza influenza o soggezione dal pensiero altrui. Esiste il verbo plagiare, che è l’estrema espressione di ciò che può provocare sul piano mentale un individuo, o un contesto, su altri individui. Un verbo più mite è forse “condizionare”, in cui l’individuo utilizza in via ancorché residuale la sua ragione. Jacques, uno dei due protagonisti del mio romanzo, non è né plagiato, né condizionato dall’ambiente che lo circonda perché, nonostante la sua giovane età non ammette e odia taluni aspetti della mentalità di quell’ambiente, quali sono il pregiudizio e l’indifferenza. Per questo si ascolta, riconoscendo di saper separare il bene dal male e capisce che giudicare a priori, perché influenzati, condizionati ovvero plagiati da menti ottuse sia un qualcosa di aberrante. Il pregiudizio è stato l’assioma della propaganda razzista di Hitler, che riteneva, a torto, che la razza ariana fosse superiore a tutte le altre razze perché perfetta. Con questi ideali nefasti bruciò nei lager sei milioni di ebrei, nonché omosessuali, malati di mente e altra gente considerata inferiore rispetto agli “ariani”, commettendo uno dei più grandi crimini contro l’umanità della storia dell’uomo. Il pregiudizio innesca un senso di superiorità, crea una casta e annulla la dignità umana con la discriminazione sociale e il razzismo. Con il mio romanzo ho voluto lanciare un messaggio contro il pregiudizio, perché è stata una delle cause principali delle atrocità della storia dell’uomo.
Ho scelto di parlare di pregiudizio in questa intervista perché ritengo che in questo periodo di pandemia in molti abbiano dimostrato di trarre conclusioni personali con affermazioni avventate che, fin qui, non trovano peraltro alcun fondamento ufficiale. Sei d’accordo con me? Credi che, un po’ come l’invidia, questo atteggiamento faccia parte della natura umana?


Non mi soffermo sull’assurdità di talune affermazioni razziste che ho letto e ascoltato durante questo periodo di pandemia che hanno coinvolto la comunità cinese, perché, appunto, anche io ascolto me stesso e ripudio il pregiudizio. Ma non è soltanto l’elemento razzista che mi ha turbato, sebbene mi abbia scosso, come mi fanno rabbrividire la generalità delle discriminazioni razziali e sociali. Mi ha preoccupato molto l’atteggiamento di molta parte dell’opinione pubblica a generalizzare su qualsiasi tematica e la sua predisposizione ad essere facilmente influenzabile, se non condizionabile, al tal punto da credere alla menzogna invece che alla verità. Mi preoccupa la generale, scarsa capacità di analisi e di valutazione dei fatti, a causa della quale si corre dietro colui che si alza per primo la mattina e dice la sua. Una preclusione della ragione, di quella capacità di usare con razionalità il proprio cervello, di condividere il pensiero altrui senza riflettere sulla genuinità e coerenza di questo.
Certo, tutto ciò fa parte della natura umana, ma non dobbiamo dimenticare che l’uomo intellettualmente si è evoluto nei millenni diventando ciò che ora è e che bisogna contrastare il regresso culturale, quell’analfabetismo di ritorno al quale, credo, stiamo assistendo in quest’epoca, combattendo le ideologie prive di valori, che all’umanità provocano solo nocumento.
Di “E ascoltai solo me stesso” il celebre artista e poeta Enrico Marras ha scritto, tra le altre cose: “Meritano un’analisi di estremo interesse storico i capitoli della narrazione autobiografica del secondo protagonista, in una sorta di condivisione simbiotica col principale, sugli atroci eventi che hanno contraddistinto la guerra civile spagnola (con la menzione alla città di Guernica e ai suoi avvenimenti tragici, proiettati in modo indelebile nella storia attraverso il capolavoro di Picasso) e il conseguente dramma dei profughi spagnoli antifranchisti, dei quali Michel faceva parte, in terra francese…”. Come hai fatto a conferire alla narrazione “momenti d’intensa umanità – citando ancora le parole di Marras - ove il ‘pathos’ della narrazione crea un ineludibile parallelo con le analoghe migrazioni dei nostri tempi”?

Non aggiungo molto sul pensiero del Marras. La simbiosi tra i due personaggi si consolida sempre più, è un atto d’amore reciproco, in cui il giovane Jacques comprende le sofferenze della vita di Michel, la sua bontà, la sua saggezza. Tratti di Michel, esule politico, non conosciuti a nessuno. Con quel racconto autobiografico, Jacques capirà definitivamente la cattiveria della gente del suo paese, pervasa dal pregiudizio nei confronti di Michel.
Dal punto di vista prettamente storico, l’emigrazione di Michel, esule politico in quanto antifranchista, crea un ineludibile parallelo con le realtà migratorie dei nostri tempi che tanto preoccupano il mondo occidentale, fino a far riaffiorare il razzismo recondito. Ho voluto accendere i riflettori per un momento sulla guerra civile spagnola, se non altro per ravvivare la memoria su un fatto storico d’emigrazione ormai dimenticato, che al pari di altre emigrazioni epocali ha causato gravi sofferenze agli oltre 500.000 spagnoli che fuggirono dalla Spagna in quel periodo.
In “E ascoltai solo me stesso”, hai unito due Paesi, la Francia e la Spagna, e due culture diverse seppure geograficamente confinanti di cui ti so essere profondo conoscitore. Anche in questo caso, per tornare al tema del pregiudizio, con quale atteggiamento i due popoli hanno affrontato le vicende storiche di cui narri?

I Francesi nutrivano pregiudizio nei confronti degli spagnoli, in un’epoca in cui il sovranismo era ai massimi livelli, con la macchina nazi-fascista che incombeva sull’Europa intera. Come ho narrato con la storia di Michel, i francesi “accolsero” a loro modo gli spagnoli, tuttavia quel particolare periodo storico non permetteva alla Francia di “pensare” troppo ai rifugiati spagnoli, con i nazisti a Est che stavano scatenando la Blitz Krieg, una guerra “lampo” che si sarebbe trasformata nell’immane tragedia della seconda guerra mondiale. L’emigrazione degli spagnoli fu una dramma umano, come tutte le emigrazioni; voglio ricordare anche quella nei nostri Istriani, che abbandonarono la propria terra a causa del regime di Tito, 300.000 italiani furono costretti a fuggire dall’Istria e questo fatto storico ancora provoca ruggine tra l’Italia e la Croazia. Ma voglio che l’attenzione non si perda riguardo tragiche emigrazioni attuali, dall’Africa, dalla Siria, da ovunque il popolo si trovi costretto a fuggire per motivi di guerra e di fame; a tutto questo non si può essere indifferenti, perché tutti, a questo mondo, siamo figli dello stesso Dio e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo deve valere indistintamente per tutta l’Umanità.
Infine… Sei uno scrittore di narrativa, i tuoi romanzi rientrano maggiormente in quelli di formazione per via dell’evoluzione che fanno compiere ai loro personaggi. Pensi che questa epidemia porterà l’umanità ad una sorta di palingenesi?

Veramente non saprei, certamente da questa esperienza abbiamo capito cosa significhi perdere la libertà e quanto sia importante il vivere sociale, in un’epoca in cui davamo tutto per scontato, dimenticandoci che questa “libertà” è costata un prezzo altissimo, perché è stata conquistata con il sangue di milioni di morti nel secondo conflitto mondiale e durante la Resistenza. Personalmente, continuo a credere nei valori della libertà e della pace e ogni giorno, per noi, dev’essere una rinascita con il nostro contributo, affinché la libertà e la pace non vadano irrimediabilmente perduti e per far questo, come dicevo prima, bisogna combattere ad ogni costo la regressione culturale per mettere al bando chiunque attenti alla Repubblica e alla Democrazia.
L'Astrolabio di Swanbook
Redazione: Desenzano del Garda
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