"Salva Cremasco"
Rubriche > Eccellenze in tavola > Formaggi
settembre 2023
IL “SALVA CREMASCO DOP”
di Aurelio Armio
Pochi giorni
fa abbiamo parlato del Castello Visconteo di Pandino, nell’articolo abbiamo
accennato alle tradizioni agricole di Pandino e del territorio cremasco dove
parallelamente all’allevamento si è sviluppata un’importante industria
casearia, numerosi infatti sono i caseifici che trasformano il latte in
prodotti d’eccellenza. Oggi parleremo proprio di uno di questi prodotti: il
Salva Cremasco DOP.
Un formaggio
che, oltre naturalmente ad essere una vera prelibatezza, personalmente mi è
rimasto nel cuore, cosa che credo succeda più o meno a ciascuno di noi quando
vive a lungo in determinato territorio e ci si affeziona non solo ai luoghi ma
anche alle tradizioni e ai prodotti tipici della zona.
Ecco! Per me il
Salva Cremasco è sinonimo di piacevoli ricordi legato ad un periodo particolare
delle mia, ma è fuori dubbio che a chi legge delle mie situazioni personali non
importa un fico secco (tra l’altro ottimi i fichi che si possono accompagnare
ai bocconcini fritti di Salva Cremasco, come lo sono le “Tighe” con il Salva…),
quindi dedichiamoci al protagonista della nostra storia.
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Sono numerose le
testimonianze che documentano la presenza di questo formaggio nel territorio
cremasco fin da tempi lontani. In molti dipinti del XVII° e XVIII° secolo sono
raffigurate tavole imbandite dove si distinguono forme di formaggio che
richiamano l’attuale forma del Salva Cremasco. Ma non è nemmeno un azzardo
ritenere che la produzione e il commercio di prodotti caseari possa essere già
presente nel territorio fin dall’anno 1000 e poi probabilmente sviluppatosi
maggiormente nei secoli a seguire. Chissà magari anche nei banchetti organizzati
da Bernabò Visconti nel Castelli di Pandino, dopo una ricca battuta di caccia,
poteva esse servito tra le varie portate il Salva Cremasco.
Sono
interessanti anche gli studi effettuati per capire l’origine semantica del nome
“Salva”. Secondo un dizionario di voci dialettali cremasche pubblicato attorno
al 1940 da Andrea Bombelli la voce “salva” viene così descritta: “strachì da
sàlva”, riferito ad uno stracchino indurito in seguito ad una spalmatura d’olio
necessaria per la conservazione invernale.
Molte altre
sono le fonti che concordano nell’attribuire al nome “Salva” il significato
della sua funzione, cioè alla necessità di salvare le eccedenze della
produzione di latte: fin dai primi decenni del ‘900 veniva prodotto questo
formaggio proprio per non il latte in sovrabbondanza e impiegarlo nella
produzione di un formaggio che potesse avere una durata medio-lunga.
Ecco, quindi,
che ancora ai giorni nostri possiamo deliziarci di questo formaggio.
Frisone e brune alpine al Castello di Pandino durante la fiera del paese
Il Salva
Cremasco è un formaggio a pasta cruda, prodotto esclusivamente con latte di
vacca intero. È un formaggio a crosta lavata che prevede una stagionatura
minima di 75 giorni. La sua zona di produzione tipica attualmente è
circoscritta tra le di Bergamo, Brescia, Cremona, Lecco, Lodi e Milano.
All’interno di
questo areale (previsto dal disciplinare del Consorzio di Tutela del Salva
Cremasco) devono avvenire tutte le operazioni di produzione del latte, della caseificazione
e della stagionatura.
Le forme di “Salva”
si presentano a forma di parallelepipedo con facce che possono avere un minimo
di 11/13 cm. e un massimo di 17/19 cm. Il peso di ogni forma è compreso tra 1,5
e 5 kg. circa.
La sua una
crosta è sottile, liscia e può presentare delle fioriture; mentre la pasta
mostra un’occhiatura distribuita irregolarmente e di consistenza tendenzialmente
compatta e friabile allo stesso tempo, risultando più morbida nella parte
immediatamente sotto la crosta. Il colore è bianco ma con l’aumentare della
stagionatura tenderà al paglierino. Degustando il formaggio si noterà il suo
sapore aromatico ed intenso che assumerà connotazioni ancora più pronunciate
con il trascorrere della stagionatura.
Il periodo base
della stagionatura si protrae per un minimo di 75 giorni, durante i quali le
forme vengono rivoltate con una certa frequenza e trattate con un panno
imbevuto di soluzione salina o spazzolati a secco, con lo scopo di mantenere
intatte le caratteristiche della crosta e ridurre le ife, contribuendo a far
assumere alle forme di “Salva” la colorazione caratteristica.
Non sono
ammessi trattamenti sulla crosta a parte le spugnature con acqua e sale o l’eventuale
uso di olio alimentare ed erbe aromatiche.
Il Consorzio Tutela Salva Cremasco è di
recente costituzione: è stato costituito come ente senza scopo di lucro, il 21
Novembre 2002 e giorno dopo giorno dimostra sempre più il suo impegno nella
promozione di questa squisitezza. Le attività che svolge riguardano la
vigilanza sulla commercializzazione; la promozione e la divulgazione del prodotto
presso i consumatori; il costante impegno, in ambito scientifico, per una
maggiore conoscenza delle caratteristiche qualitative, oltre alla ricerca di un
continuo miglioramento dello standard produttivo.
Del Consorzio fanno parte diversi soci
(caseifici e stagionatori) e aziende che confezionano e commercializzano il
Salva Cremasco.
Il marchio all’origine della
denominazione “SALVA CREMASCO” ha forma quadrata.
Per la produzione del Salva Cremasco è
utilizzato il latte vaccino intero crudo derivante dalle razze bovine allevate
nell’area di interesse, la Frisona italiana e la Bruna Alpina. È ammessa una
minima pastorizzazione del latte (max a 71,7° per 15 secondi). Deve essere utilizzato
esclusivamente caglio bovino liquido, da innesto naturale o proveniente e
ottenuto da ceppi autoctoni prodotti nella zona di origine.
La coagulazione avviene tra i 32°C ed
i 40°C, con una durata tra 10 e 20 minuti, in rapporto alle condizioni
climatiche e alla materia prima. Si effettuano due rotture della cagliata: la
prima, grossolana, è seguita, dopo una sosta di 10/15 minuti in modo che il
coagulo, iniziando la fase di spurgo, acquisti maggiore consistenza; con la
seconda rottura si ottengono glomeruli della grandezza di una nocciola. La
cagliata non viene riscaldata. L’estrazione della cagliata avviene per
trasferimento dalle caldaie negli stampi. È ammessa l’estrazione con teli in
fibre naturali o sintetiche e, per la sosta della cagliata, sono ammessi stampi
in legno.
La stufatura può durare da un minimo
di 8 ore ad un massimo di 16 ore, ad una temperatura compresa tra 21°C e 29°C con
umidità tra 80% e 90%.
La marchiatura identificativa del
prodotto avviene durante la stufatura, nel corso di uno dei rivoltamenti, affinché
la relativa impronta risulti evidente anche nel formaggio maturo. La matrice viene
impressa solo su una faccia della forma e reca il numero di identificazione del
Caseificio di produzione.
Ma prima di lasciarvi con la speranza
di avervi incuriositi al punto tale di farvi andare personalmente a scoprire
questo formaggio davvero particolare, mi lascio trasportare nuovamente dai
ricordi, soprattutto da quelli delle cene con gli amici nel giardino di casa o
del tennis club, dove il “Salva” era spesso protagonista quanto le palline
gialle, e quindi voglio salutarvi citando un paio di ricette che vedono il “Salva”
come ingrediente principale.
La prima ricetta sono le mitiche “Tighe
con il Salva”. Le “Tighe” è il nome dialettale cremasco che viene dato ai
peperoni verdi lombardi sottaceto. Per 5/6 persone servono 500 gr. di “Salva
Cremasco”, 200 gr. tighe, olio extra vergine e pepe nero macinato fresco. Beh,
per questa ricetta non necessitiamo di uno chef stellato, quindi Cracco lo
lasciamo tranquillo sui furgoni delle patatine San Carlo.
Ecco il "complicatissimo" procedimento:
tagliate il “Salva Cremasco” a cubetti di circa mezzo centimetro ed aggiungete
le tighe tagliate grossolanamente. Mettete a riposare in frigorifero per almeno
2/3 ore.
Al momento di servire aggiungete al
Salva Cremasco un filo d’olio extra vergine d’oliva, una spruzzata di pepe e
mescolate il tutto con delicatezza.
Per la seconda ricettina il livello di
difficoltà cresce, eccomi a proporvi i “Bocconcini fritti al Salva Cremasco”,
sempre per 5/6 persone: 300 gr. “Salva Cremasco”; 2 uova; 100 gr. pane
grattugiato; 1 cucchiaio farina bianca; 5 o 6 fichi fichi; pepe; sale; olio
Evo.
Tagliate il Salva Cremasco a fette di
mezzo centimetro di spessore a forma triangolare, eliminando la crosta.
Con una frusta battete le uova intere.
Unite a 100 gr. di pane grattugiato un cucchiaio di farina bianca poco sale e
pepe nero e mescolate.
Passate ora il formaggio nell’uovo
battuto e poi nel misto di pane e farina.
Friggete in abbondante olio bollente e
servite guarnendo con fichi.
E per finire passiamo ad un piatto
dove bisogna essere un pochino abili fra i fornelli. Parliamo di un bel
risottino con “Salva Cremasco” e punte di asparagi. Siamo sempre le solite 5/6
persone che ci dobbiamo mettere a tavola, per cui servono: 300 gr. di “Salva
Cremasco”; 480 gr. riso; ½ bicchiere vino bianco secco; 10 punte di asparagi; ½
cipolla; 50 gr. burro; brodo vegetale; sale.
Tritate finemente mezza cipolla e
fatela imbiondire con il burro. Unite il riso, fatelo tostare mescolando per un
minuto e poi bagnatelo con mezzo bicchiere di vino bianco
secco, fate evaporare e insaporire per
5 minuti. Aggiungete metà del Salva Cremasco e lentamente il brodo bollente
necessario, sempre mescolando. A metà cottura unite il restante “Salva Cremasco”
tagliato a pezzettini e le punte di asparagi, precedentemente ben lavate e
tagliate.
Servite caldo e buon appetito a tutti.