Rosy Shoshanna Bonfiglio: arte, cultura & coaching
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Arte, cultura, coaching per metterci in
contatto con noi stessi. Ne parliamo con Rosy Shoshanna Bonfiglio
Di
Francesca Ghezzani
Diplomatasi
all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, Rosy
Shoshanna Bonfiglio prende parte a importanti produzioni dirette da grandi
firme del teatro italiano. Il suo percorso artistico la vede Vocalist
poliedrica per la musica e per il teatro, oltre che autrice e regista di
spettacoli.
Affianca
alla recitazione, alla musica e alla scrittura, l’attività di Acting e Business
Coaching.
Siciliana,
vive oggi a Milano e ci racconta come il suo primo libro di poesie, NEI
GIARDINI DELL'EREBO, recentemente pubblicato, sia diventato un progetto di
creazione, educazione e riflessione collettive.
Rosy,
qual è l’anello di congiunzione tra arte, cultura, coaching?
In una
parola ti direi il RISVEGLIO. Sono tre porte straordinarie che ci permettono di
accedere alle stanze della nostra coscienza e della conoscenza. Entrambe -
coscienza e conoscenza - sono le fonti indispensabili da cui attingere per
essere davvero presenti a noi stessi, presenti alla vita, realmente integrati
al nostro corpo e al mondo di cui facciamo parte. Senza di loro saremmo
soltanto un involucro che si trascina, fantasmi. La legittimazione dell'uomo
avviene dentro quelle stanze. L'Arte e la Cultura tutta riescono a metterci in
contatto con la nostra tridimensionalità di esseri umani, ci ricordano che
siamo pensiero, siamo corpo e siamo spirito. Ci ricordano che siamo storia, che
siamo tempo passato, presente e futuro. Che siamo fallibili, che siamo
meravigliosi e anche orribili. Che siamo piccolissimi e grandissimi al contempo,
ma comunque sempre più piccoli di qualcos'altro. Ci insegnano la
contraddizione, il relativismo, la diversità. Se Arte e Cultura sono fonti,
sorgenti di questa consapevolezza, il Coaching è una strada, una modalità di
apprendimento per accedervi, un modo di stare al mondo, di guardare le cose e
di guardarsi. Utilizzando un approccio coaching puoi entrare in un quadro, in
un personaggio o nelle tue dinamiche comportamentali. È un modo di farsi
domande, per comprenderci, per comprendere gli altri, per migliorarci e
generare valore, dentro e fuori di noi. Le stesse finalità dell'Arte e della
Cultura.
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"Nei
giardini dell’erebo" rappresenta solo il punto di partenza di un tuo
progetto artistico ben più ampio: una sorta di fioritura che ti accompagna da
alcuni mesi.
Era un progetto premeditato o è nato spontaneamente, passo dopo
passo?
Ogni mio
processo creativo si innesca in genere per intuizioni improvvise, momenti in
cui qualcosa nasce, con un senso di necessità e di inevitabilità. La
composizione e costruzione dell'opera avvengono poi in un tempo variabile,
durante il quale l'osservazione, l'ascolto, il contatto profondo con la realtà
in cui quell'idea è nata, prende pian piano forma, come fosse plasmata anche
dal contesto sociale, dal momento storico, da quello che si muove intorno a me.
Da quel momento l'opera è figlia di un costante processo trasformativo in
collaborazione con tutte le cose! È come se ci lavorassero insieme a me anche
le persone, i fatti, l'energia circostanti del tempo a cui appartiene. Ogni mia
creazione difatti è profondamente dinamica, mutevole, nasce in un modo ma come
l'acqua scorre, continuamente, assumendo altre sembianze e forme. Devo dire che
mi rivedo molto in questa caratteristica, è il mio stesso modo di vivere. NEI
GIARDINI DELL'EREBO è venuto al mondo come un libro di poesie, ma subito è
diventato materiale per suggestioni sonore e visive, per un lavoro di videoarte
che ho realizzato durante il primo lockdown. Osservando questo processo ho
pensato che quindi la parola potesse diventare materia prima a disposizione di
altri artisti, per creare delle loro opere a partire da alcuni testi della
raccolta, restituendone forme diverse, interpretazioni, visioni, sensi nuovi.
Da lì pian piano il Giardino ha preso forma: un grande spazio (non amo
definirlo contenitore, che suggerisce una forma chiusa) in cui ospitare e
promuovere la Fioritura, intesa come vita, forza generatrice. Le persone
coinvolte (dapprima gli artisti, adesso gente di ogni settore, età,
provenienza) sono metaforicamente i Fiori che animano questo spazio, che
portano Bellezza attraverso creazioni, domande, pensieri, spunti, tutti
accomunati dall'amore per lo sviluppo umano. Ecco che l'Arte e il Coaching si
incontrano quindi in questo progetto: il libro nasce come "creatura artistica"
ma diventa motore di un movimento più ampio in cui viene stimolata la crescita.
Questa la sintesi. Dunque no, non era affatto premeditato, e anche adesso mi è
abbastanza chiaro che, pur intravedendo la forma che Il Giardino sta pian piano
assumendo, ne intuisco solo parzialmente un potenziale che di certo scoprirò io
stessa più avanti. Come sempre.
Dalle
riflessioni collettive che stai raccogliendo, cosa senti di aver osservato e
imparato come donna e come artista?
Mi va di
restituirti un'osservazione sistemica, sul processo più che sui singoli
contenuti. Un fenomeno innanzitutto: c'è tantissima bellezza nelle persone,
tanta profondità, talvolta nascosta o poco espressa. Le cose e le persone sono
efficaci quando generano un impatto costruttivo. Solo che non sempre le persone
sono consapevoli di poter essere efficaci, di poter generare un impatto.
Potenzialmente questo vale per tutti, ciascuno può farlo in modo diverso, con
una gittata diversa e in un ambito differente. Ma si tende a non pensarsi sede
di questa responsabilità, di questa luce. Accade probabilmente perché le
persone non sono più abituate a essere chiamate in causa, o almeno non per
quello che pensano e sanno fare. La visibilità oggi è fortemente scissa dal
valore e dalle capacità. Voglio essere popolare, essere visto, avere tanti
followers, non perché voglia dire o dare qualcosa, ma per esibirmi, per urlare
"occhi a me!". Impatto costruttivo significa che quello che tu fai fa
accadere qualcosa di buono. Crea un movimento virtuoso intorno, negli altri.
Stimola, genera una crescita, un miglioramento. Le persone che stanno prendendo
parte alla Fioritura condividono pensieri belli, profondi, a volte anche molto
personali. Hanno voglia di dare, di esserci, sono disposte a vincere l'imbarazzo
per metterci la faccia. Questo è coraggioso, è generoso, è significativo di
tante cose. Moltissime di queste persone io non le conosco nemmeno, ci siamo
conosciuti attraverso questo progetto, scambiandoci anche parole e pensieri di
grande intensità. Primo apprendimento: affinché ci si senta visti, serve sempre
qualcuno, che almeno una volta, ci veda davvero e soprattutto ci faccia
sentire visti: sono due cose non necessariamente collegate. Secondo
apprendimento: tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno e abbiamo il diritto di
essere visti. Penso che se le persone fossero guidate a riscoprire la propria
luce, il proprio valore specifico, la propria bellezza, la propria utilità, il
proprio senso critico, se fossero quindi rieducate a brillare, sarebbero enormemente
più capaci di essere presenti, protagoniste, della loro vita individuale e
anche di quella collettiva. Questo sano protagonismo sarebbe un grande farmaco
per guarire l'ego, che è sempre figlio di qualche mancanza, di qualche
scompenso. Non ho bisogno di prendere spazio, di chiedere attenzioni, di
esibirmi, impormi (o annullarmi). Perché sono, semplicemente. Non conquisto
uno spazio (reale o virtuale che sia), lo abito. Ci sono, penso, agisco. Cogito
ergo sum, diceva qualcuno. E in quel cogito c'è un mondo di cui potremmo
parlare a lungo! Altro grande apprendimento è che la distrazione non è sempre
dimostrazione di disinteresse, non deve scoraggiarci, farci chiudere,
demotivarci quando prendiamo a cuore una missione difficile. Io stessa ho
vissuto questa paura all'inizio. E se poi le persone non rispondono? Se poi la
cosa non ha la presa che vorrei? La distrazione è una cattiva abitudine a cui
si può far fronte. Come? Dando attenzione. Valorizzando le persone.
Rieducandole a valorizzare a loro volta, se stessi e gli altri. Facendo anche
piccoli gesti, gesti disinteressati, scevri da qualsiasi tornaconto. Gesti
generosi, autentici: cosa c'è di buono in questa persona o in quest'idea? Quale
valore le riconosco? Come posso contribuire? Quello che più ci manca è quello
che in genere non stiamo dando abbastanza. Non dico che sia sempre così ma
quasi. Provare per credere.
Ti
ritieni un’artista molto esigente verso te stessa e verso gli altri?
Sì, lo ammetto.
Sono molto esigente e ho un'asticella parecchio alta. Non è un fatto solo
artistico, sono molto esigente come persona. Chi lavora con me sa che prima di
arrivare al "va bene così, funziona!" la strada è parecchio lunga,
sono maniacale. Diventarne consapevole mi ha permesso e mi permette di gestire la
cosa, di utilizzarla al meglio cercando di isolare e "smontare" la
parte superflua, quella controproducente, eccessivamente dura o severa, figlia
di condizionamenti antichi, di automatismi psicologici e comportamentali. Tutti
li abbiamo rispetto a temi diversi. In questo il Coaching mi ha aiutata
tantissimo. Imparare a conoscere le nostre spinte interiori, le nostre
caratteristiche, ci permette di usare quello che ci serve, che ci fa bene. E
ogni cosa in genere ha del buono e del meno buono, per cui un potenziale nemico
interiore può diventare un grande alleato fino a tramutarsi anche in un nostro
punto di forza. Sicuramente ad oggi mi è chiaro che la conciliazione e la
contraddizione viaggino in me legate a doppio filo, quindi davanti a qualcosa,
indipendentemente dal fatto che io ne sia artefice o meno, davanti a qualsiasi
cosa e a chiunque, mi pongo con spirito accogliente e critico al contempo.
Sembrerebbe un cocktail schizofrenico ma va solo maneggiato con equilibrio, di
certo è abbastanza sfidante. È un processo hegeliano se ci pensi, diciamo che
l'antitesi mi è indispensabile per raggiungere la sintesi. E mi aiuta ad
allargare lo sguardo. Aggiungerei che detesto particolarmente
l'approssimazione. Sono sempre affascinata dalle persone molto competenti, che
sanno ciò di cui parlano, ne ho incontrate non tantissime ma abbastanza da
ispirarmi a fare del mio meglio. Non è perfezionismo, ha a che fare con
l'essere efficaci, di cui ti dicevo prima. Lo senti quando una cosa non sta
esprimendo il massimo del suo potenziale, quando non funziona o non ancora. E
se le cose, come le persone, possono essere tutte intere, perché mai dovrebbe
bastarci solo una parte?
Nel
ruolo di lettrice chi o cosa influenza la tua decisione di leggere un libro?
Bella domanda, credo di non averci mai pensato. Devo dirti
che sicuramente vado molto a istinto e le mie letture sono abbastanza
variegate, anche se ad alcuni generi non mi sono mai particolarmente dedicata.
Con i libri è un fatto di incontro. Quando entro in una libreria è la fine, posso
rimanere a vagare un giorno intero tra gli scaffali, guardo, apro, leggo un
po', vedo se scatta qualcosa, come fosse un "appuntamento": dopo i
primi minuti capisci subito se valga la pena rimanere! E puntualmente finisco
alla cassa con una pila di titoli. Mi manca tantissimo andare in libreria a
fare queste incursioni. Quando mi aggiro tra tutti quei libri mi sembra di
essere circondata da innumerevoli messaggi segreti, come se dovessi riuscire a
sentire chi mi sta chiamando in quel momento, è una specie di caccia al tesoro!
In genere il fatto di curiosare tanto, cercare, anche in maniera casuale,
spesso senza una direzione precisa, mi porta a scoprire delle cose, degli
autori, delle opere, che catturano il mio interesse. E poi amo molto i libri
che mi regalano o suggeriscono: mi sembrano sempre dei bigliettini nella
bottiglia che sono arrivati tra le tue mani per qualche misterioso motivo e
quindi avranno qualcosa da dirti, da darti. È tutta una magia per me, con
l'Arte mi succede così. È un dialogo continuo, uno stare in contatto,
ascoltare. Se qualcuno sceglie di "abbinare" a te un libro,
evidentemente ha visto, colto qualcosa che non necessariamente tu vedi. Mi
sembra un modo preziosissimo di far fruttare l'etero-osservazione. È bello
fidarsi che gli altri a volte possano saperne più di noi, apre molte
possibilità.
Infine,
ho letto di una tua iniziativa molto interessante, il poetry coaching. Di che
si tratta?
La parola
poetica diventa porta d'accesso a una doppia esplorazione: un viaggio dentro un
testo per incontrare qualcosa di sé. I testi ci parlano, come dicevo prima: al
di là della mia personale esperienza di dialogo coi libri, credo che questo sia
un discorso universale. Tutta la letteratura ci parla, ci mette in dialogo con
altre persone, gli autori e i personaggi, ed esattamente come quando parliamo
con qualcuno ci sono delle cose che risuonano più fortemente con noi, altre
meno, alcune che ci riguardano più da vicino o ci somigliano, etc. Con il
Poetry Coaching fondo insieme alcuni strumenti e tecniche del Coaching e della
Recitazione, per facilitare un'esperienza di riconoscimento ed espressione
delle proprie emozioni e dei propri pensieri. Utilizzo già l'Arte nel Coaching
anche nei contesti di Business e mi è chiaro che sia una via potentissima per
accedere a una consapevolezza ampia e profonda di sé. Stimolata quindi da
quello che ti dicevo all'inizio, dalla voglia di aiutare le persone a
esprimersi più pienamente, e motivata da un esperimento decisamente ben
riuscito che ho fatto di recente, ho pensato che questa potesse essere una
ulteriore possibilità e anche un modo per rendere l'Arte, la Poesia in questo
caso, fruibile, accessibile a tutti, nella misura in cui anche una persona
digiuna di letteratura può in questo modo sperimentare l'utilità di questo
linguaggio, attraverso un'esperienza vissuta in prima persona.
Un tuo
punto di vista sulla situazione attuale.
Quando
una società non ha identità, non si riconosce in dei valori, in delle scelte,
non aderisce a un senso civico, etico, morale, quando l'individualismo impera
sfilacciando completamente la maglia di una comunità, è evidente che serva
ricostruire un tessuto condiviso. L'Arte può giocare un ruolo fondamentale in
questa rieducazione, può essere un collante efficace, ma bisogna tirarla fuori
dalle sue caselle, bisogna che scorra pure lei come l'acqua e si affermi come
sostanza, materia, prima che come forma e opera. È una lingua universale che
parlano ancora poche persone. Credo che questo sia oggi prioritario e
precedente a qualsiasi spettacolo. I luoghi deputati sono fuori gioco? Bene:
ragioniamo un momento a livello sostanziale, vediamo cosa si può fare per
costruire nuovi presupposti prima di nuove forme o canali di distribuzione,
torniamo al cosa e al perché prima di come e dove. Penso
che questa sia la vera e grande opportunità di questo momento storico.