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"La teoria delle briciole", il nuovo libro di Laura Moreni

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“La teoria delle briciole”, il nuovo libro della scrittrice bresciana Laura Moreni
di Francesca Ghezzani
La scrittrice Laura Moreni è tornata in libreria con La teoria delle briciole pubblicato nella collana Narrativa da Bertoni Editore, con cui erano già usciti il primo romanzo, Siamo come le lumache (2021; finalista al “Premio Città di Terni”, I edizione; finalista al “Premio Giorgione”, VII edizione) e il racconto La gabbia nella raccolta Lo spirito del luogo (2022) dedicata al borgo di Corciano.

Un marito affascinante e devoto, due figlie, una madre amorevole, una cognata affezionata, le amiche di sempre e il suo lavoro di fiorista: la vita di Claudia si può esprimere con poche, essenziali, parole. Tra quelle parole, cariche di significati e di ruoli, la protagonista del romanzo sembra muoversi con disinvoltura, grata per tutto quello che ha e senza mai nutrire un dubbio.
Quando un altro uomo entra con irruenza nella sua vita ordinata e perfetta, Claudia tenta in ogni modo di ricondurre il tradimento sui binari confortevoli che ben conosce, a considerare l’episodio unico e occasionale. Presto però si rende conto che questo incontro è l’opportunità di far venire alla luce aspetti di se stessa fino ad allora ignoti, e sceglie infine di assecondare le proprie pulsioni. Indagando tra sentimenti e paure sempre nuovi, inizia per lei un percorso verso la scoperta della sua identità di donna.   
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Laura, cominciamo dal principio. Qual è stata l'ispirazione dietro "La teoria delle briciole" e cosa ti ha spinto a esplorare la storia di Claudia?
L’idea è nata chiacchierando con un’amica che, superati i sessant’anni, aveva rivoluzionato l’intera sua vita: lasciato il marito – dopo trentacinque anni – aveva deciso di trasferirsi all’estero, in un vero e proprio salto nel buio; da sola, senza parenti o contatti, con un appartamento affittato online come unico riferimento, aveva affrontato un lunghissimo viaggio e aveva ricominciato la sua vita da zero. Era stata una scelta sofferta, per cui aveva abbandonato il lavoro, gli affetti, tutte le abitudini, ogni comfort. Diceva che a un tratto aveva capito di non riconoscersi più, di essersi persa, e aveva sentito il bisogno per la prima volta di ascoltarsi e di prendersi cura di sé.
Mi sono resa conto, parlando con lei, che nella sua vita “di prima” non c’era nulla che non andasse, e lei stessa ne era cosciente. Non si trattava di infelicità, ma di non-felicità: è questo il motivo, spesso, che ci tiene incatenati, perché tutto sommato la vita non appare così male; d’altra parte, quando lo si comprende, è proprio ciò che spinge a ribellarsi, a non accontentarsi: si desidera altro, si sente il bisogno di seguirsi, di cercare quello che davvero può renderci felici. O, almeno, consapevoli di fare il meglio per noi stessi.
Credevo che alcune esperienze fossero riservate soltanto ad alcuni periodi della vita, soprattutto quando si parla di amore e di intimità con l’altro; pensavo che dopo una certa età, addirittura, non si presentasse più l’occasione di vivere sentimenti forti, di decidere cambiamenti. Mi ingannavo: l’imprevedibile accade e stravolge, e non è una questione di età.
Ho iniziato allora a riflettere sulla mia trama, e ne è nata la storia di Claudia.
Rifacendosi al titolo, in inglese parleremmo di Breadcrumbing: in amore ci si può accontentare delle briciole?
L’orgoglio femminile, certo, spinge a dire di no.
In realtà credo che in determinate condizioni, laddove l’amore sia sincero ma gli ostacoli per viverlo appieno siano invalicabili, penso sia possibile. Se l’obiettivo non è possedere l’altro, ma condividere lo spazio e il tempo disponibili, e se questo spazio e questo tempo aiutano a conoscere meglio se stessi, ad amarsi di più e a sentirsi felici, allora credo sia verosimile. E non ritengo si tratti di “accontentarsi”, ma di strappare ogni prezioso istante dalle abitudini quotidiane e farne tesoro. L’amore è arricchimento, in qualsiasi modalità venga vissuto. Naturalmente nel mio racconto le “briciole” hanno un senso perché entrambi i protagonisti si trovano nella medesima situazione, emotiva ed effettiva: non è la storia dell’amante innamorata/o e illusa/o. Penso che nella vita possa accadere, ma che sia un caso molto raro e fortunato.
Hai definito il romanzo come "un po’ provocatorio, a tratti disturbante". Come hai bilanciato il tono provocatorio con la tua intenzione di spingere i lettori a riflettere sulle proprie vite?
Parlare di questioni che vanno a rompere drasticamente con il senso comune, lo sapevo, avrebbe potuto infastidire il lettore. Ho voluto rischiare, perché ritengo che molte voci di donne siano tuttora non ascoltate, non considerate, soprattutto se appartenenti alla generazione delle madri dei nostri adolescenti o, addirittura, delle giovani nonne: donne colte, intraprendenti e spesso con una carriera ben avviata ma che, tutt’oggi, si sentono ancorate al matrimonio e a tutti i ruoli sociali che impone. Il mio intento era far riflettere sul fatto che spesso, purtroppo, il senso del dovere e del “corretto” diventano una specie di gabbia, in cui ci si può intrappolare senza nemmeno rendersene conto. Allora avevo bisogno di un espediente forte, capace di scuotere la mia protagonista e le sue certezze nel profondo, fino a farla rischiare e ad analizzare, uno per uno, tutti gli elementi della sua vita. Io ho scelto di ascoltare la voce di Claudia e ho raccontato questa vicenda, ma gli esiti di questa storia potevano essere innumerevoli: lo stimolo da trovare nel racconto è proprio questo, ascoltare la propria voce più nascosta, più soffocata.
Pensi, in tutta onestà, che sia un libro anche per lettori uomini?
Sì, assolutamente. Anzi, mi auguro che soprattutto per gli uomini possa essere materia di riflessione: io credo che l’armonia si possa trovare, purché ci sia ascolto e attenzione reciproca. Non ho un atteggiamento di rifiuto verso il mondo maschile: la storia di Claudia per me è solo un invito a non cadere nell’abitudine verso l’altro e a lasciare così che la vita scivoli via, come fosse tutto scontato. Come se tutte le partite fossero già giocate. È un invito valido per entrambi i sessi.

Mettiamo che lo legga una platea di pubblico composta da uomini e donne: cosa credi che entrambi possano aver capito e imparato una volta giunti alla fine del libro rispetto alla prima pagina?
Penso che per le donne sia forse più semplice immedesimarsi nella fatica di Claudia a ordinare e tenere tra le mani tutte le redini della sua vita, ma in generale credo che non ci sia una risposta univoca. È un romanzo che tocca corde diverse a seconda di chi lo legge: probabilmente le esperienze di cui parlo sono talmente ordinarie che tutti possiamo immedesimarci in un momento, in una situazione. Molto dipende dalla storia personale del lettore, da come ha vissuto e risolto determinati nodi.

Un’ultima domanda: la storia di Claudia diventa un film. Chi ne veste i panni?
Paola Cortellesi.
L'Astrolabio di Swanbook
Redazione: Desenzano del Garda
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