Samuela Pierucci: mamma, medico e scrittrice sempre in movimento
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05/05/2020
Una donna a tutto tondo,
capace di conciliare i delicati impegni lavorativi di medico alle gioie della
famiglia e al piacere della lettura e della scrittura.
Oggi è giunta alla sua
seconda pubblicazione con il romanzo dal titolo “Quel poco che basta” con la
casa editrice Intrecci con cui era già uscita sul mercato editoriale con “Vuoto
fino all’orlo”, un’opera che lei stessa ha definito “catartica”.
Samuela, la tua penna sa scavare in profondità l’animo umano, anche
quello dei personaggi più giovani che, forse per età anagrafica, appare di
solito maggiormente tumultuoso e alle prese con voli pindarici alternati a fasi
down, per poi risalire e calare di nuovo tra continui alti e bassi. Ci vuoi
parlare di Sebastiano e Nada, i due protagonisti?
Ammetto che scrivere di ragazzi
in età critica, post adolescenziale, fonte di scelte e desideri, mi piace
molto. È un po’ come rivivere gli anni in cui io stessa stavo già percorrendo
un sentiero non ben consapevole di dove questo mi avrebbe portata. Nada e
Sebastiano sono due ragazzi di circa 25 anni, un’età in cui si è già intrapreso
un percorso di studi o lavoro ben definito ma in cui comunque non si è
consapevoli della portata del proprio destino, dell’entità delle proprie
scelte. Si innamorano e vivono tutto come un sogno da cavalcare pienamente ma
in questa loro avventura non sono del tutto sinceri ed omettono alcune verità
sconcertanti e decisive sulla loro vita, finendo inevitabilmente sconfitti e
perdenti. È la sincerità con sé stessi che manca loro e che li porta al
disastro.
A fianco a loro e ai fallimenti in cui incappano troviamo, tuttavia,
sempre l’ironia e l’arte di sdrammatizzare… è forse la tua “toscanità” che ti
aiuta in questo o, ancor più, il fatto che tu sia un medico anestesista
rianimatore abituato ad assistere in prima persona a molte situazioni tragiche?
Sono nata a Pistoia e vivo a
Sesto Fiorentino e devo ammettere che la Toscana è un luogo di pregnante
ironia. Ogni aspetto della vita è fonte di sorrisi e sarcasmo se non proprio di
risate, per cui certamente mi sento figlia di questa terra. Inevitabilmente poi
col lavoro che faccio sono costantemente in contatto con la malattia, la
sofferenza, la morte e per accettare il quotidiano bisogna dotarsi di una
armatura non da poco: o si sceglie un pesante fardello o si cerca di
alleggerire il tutto, non ci sono molte alternative in fin dei conti.
La morte e la sofferenza diventano così esse stesse protagoniste
imprescindibili delle tue opere?
Io credo che scrivere sia anche
un modo di esternare i propri dubbi, le proprie incertezze sui grandi temi
della vita, del quotidiano. Certamente ciò che più ci attanaglia è la paura
della sofferenza, del fallimento, dell’infelicità. In questo libro ho voluto
tramutare in racconto “altro da me”, distante, diverso, alcuni aspetti che
stavo vivendo in quel periodo: la frustrazione di alcune scelte che mi avevano
portato lontano dal mio obiettivo, un certo nervosismo, qualche difficoltà nel
riconoscermi. Ho parlato di esperienze fatte realmente da me anni prima e le ho
trasfigurate, reiventate, dando loro un nuovo significato, una nuova veste. È
stato molto catartico, mi ha alleggerita, mi ha chiarito le idee in un certo
senso.
La resilienza, tuttavia, è più forte?
La resilienza forse è la chiave
di tutto, anche di questo periodo buio che stiamo vivendo. È un concetto forse
abusato o talora poco compreso ma che riveste un ruolo centrale negli stili di
vita realmente salutari che spesso tentiamo di imitare nel nostro mondo
occidentale ed europeo. Dovremmo forse farla davvero nostra, magari insegnarla
ai bambini a scuola.
Troviamo delle
analogie con il tuo primo romanzo “Vuoto fino all’orlo”?
Ci sono certamente analogie fra i
due libri ed è strano ma la prima che salta agli occhi a me era rimasta
invisibile fino a quando la mia editor Cecilia non me l’ha fatta notare: il
tema della fuga è centrale in entrambe le storie. “Vuoto fino all’orlo” già nel
titolo allude alle difficoltà di trovare un proprio ruolo, una propria
identità, quando tutto intorno a noi ci svuota, letteralmente, e ci rende
insoddisfatti. In questo secondo libro invece la fuga è da un futuro che sembra
impedire una vera realizzazione, in cui famiglia e ruolo sociale sembrano un
muro insormontabile per trovare sé stessi. La fuga però non può mai essere
realmente una soluzione praticabile quando non siamo noi a decidere ma ci
lasciamo, nostro malgrado, travolgere dagli eventi e dalle opinioni altrui.
Infine, sei un medico
in prima linea, sei una mamma di due bambini, dove trovi il tempo per scrivere
e, magari, hai anche già in cantiere una terza opera?
Il tempo da dedicare alle proprie
passioni è sempre troppo poco, ma soprattutto è poco il tempo in cui la mente
può staccarsi dai problemi di ogni giorno e vagare altrove, esplorando altre
storie, altri percorsi. Cerco di ritagliarmi momenti solo miei per leggere, che
è fondamentale, e scrivere, che sono le mie esigenze naturali. Ovviamente devo
sacrificare altri aspetti della mia vita di mamma e lavoratrice: ore di sonno
perse, mansioni da demandare ad altri, un po’ di affanno sono comunque un
prezzo accettabile da pagare per essere sé stessi. O almeno io lo spero se poi
posso condividere ciò che scrivo con i miei lettori regalando loro qualche ora
di piacevole introspezione. Sto in effetti già scrivendo un’altra storia ma
stavolta il mio pubblico di riferimento è quello più difficile: sarà un
racconto per bambini e ragazzi, un’avventura piena di mistero e amicizia
ambientata nel mio paesino di origine. Insomma, a livello letterario una nuova
sfida.