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"C'era una volta una casa... in Perù": Francesca Mori ci racconta come è nato "J."

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Francesca Mori, autrice del libro “J.”, edito da Swanbook, ci parla della “Casa di Ñaña”, in Perù, un luogo dove lei è stata ospite per lunghi periodi, una casa che ospita bambini sotto le amorevoli cure di missionarie laiche. La “Casa di Ñaña” fa parte di una Fondazione che si prende cura di questi bambini.
È proprio dalle sue esperienze vissute nei diversi periodi in cui ha soggiornato in questa casa che è nato “J.”, un libro molto particolare dove l’autrice esplora nelle vite di giovani protagonisti e di come sono state segnate dalle innumerevoli difficoltà “del crescere” in luoghi dove vivere è sinonimo di stenti e difficoltà.
Ci teniamo a sottolineare che i proventi ricavati dalla vendita del libro saranno destinati alla Fondazione di cui fa parte la “Casa di Ñaña”.
C’era una volta una casa… in Perù
Ho sempre immaginato che le case abbiano una vita propria, che accompagna quella dei suoi abitanti, ma che possa andare anche molto oltre. Sarà perché attualmente abito in quella che mio nonno, muratore, aveva costruito per altre persone, ma che poi con l’andirivieni della vita è finita a me, e, ogni volta che ci penso, mi sento protetta e coccolata in questo modo da quel nonno che pure non mi ha mai conosciuta.
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La casa di cui vorrei davvero parlarvi, però, è molto lontana da qui ed ha una vita molto più speciale. Potrei iniziare così: c’era una volta una casa che adesso non c’è più. Era una grande antica dimora di campagna, color della terra chiara del Perù, dove si trovava, e quando è arrivato il suo momento, alla terra è ritornata. La prima stanza, un grande salone perfetto per le feste, aveva il soffitto più in alto del cielo, o almeno così mi parve la prima volta che ci entrai. Del resto, l’architettura in America latina è ricca di patios, i tipici cortili aperti all’interno delle case. Così, forse perché era ciò che mi aspettavo, forse per le grandi vetrate che la rendevano luminosissima o forse perché davvero in quella stanza si respirava cielo, mi accorsi solo il giorno successivo dell’esistenza del soffitto. Era circondata da vastissimi campi coltivati e da frutteti rigogliosi, una sorta di oasi tranquilla al limitare della trafficatissima città di Lima, un luogo di primavera eterna, perché il clima, lì, è mite per tutto l’anno ed essendo abbastanza lontana dallo smog cittadino, era spesso illuminata dal sole.
La vita di quella casa, negli ultimi decenni, è stata tra le più movimentate a cui quattro mura stabili e spesse come le sue potessero aspirare. Il fatto è che oltre alle frequenti scosse telluriche tipiche della zona, si sono aggiunti da decenni ben altri “terremoti”, cioè decine di bambini che hanno animato le sue stanze con i loro versi, pianti, risate, giochi e salti. Il problema dell’abbandono di minori è infatti enorme nel Perù, come in molti altri paesi del mondo che vivono profonde disuguaglianze nelle condizioni di vita della popolazione, e quella casa, con le persone che la abitano, ha provato a dare una risposta d’amore ai più piccoli e fragili.
A prendersi cura dei bambini, da trent’anni, c’è Rosanna, missionaria laica originaria della Valtellina, aiutata da altre volontarie italiane dell’Operazione Mato Grosso, che si succedono nel tempo, e da educatrici peruviane formate nelle scuole dell’Operazione.
Per una buona causa
Mi è capitato, nella vita, di essere ospitata alcuni mesi per due volte in quella casa, che per essere precisa fa parte della Fundaciòn Angélica y Pedro De Osma e si trova nel paese di Ñaña, nei dintorni della capitale peruviana. Ho respirato quel cielo e quell’amore, ed entrambi mi sono rimasti dentro come uno splendido ricordo e un forte legame. Sull’enorme prato davanti all’ingresso ho trascorso tra giochi e risate le ore libere dalla scuola con i bambini e i ragazzi, ho seguito alcuni di loro nei compiti pomeridiani, ho toccato con mano la fatica quotidiana e le piccole grandi gioie che comporta il prendersi cura di una famiglia così allargata. Una famiglia, peraltro, in continuo cambiamento, perché i bambini crescono, alcuni vengono adottati (anche all’estero) e ne arrivano di nuovi.
Ciò che più mi allargava il cuore era vedere i ragazzi e le ragazze che avevano vissuto lì, ormai cresciuti e diventati adulti, tornare a visitare i luoghi della loro infanzia, ma soprattutto a incontrare nuovamente le persone che si erano prese cura di loro. Così quelli che vivevano nei dintorni spesso arrivavano in visita nei fine settimana, mentre altri affrontavano viaggi ben più lunghi, anche riattraversando l’oceano, per trascorrere qualche giorno nella casa.
Ma appunto, la casa? L’ultima volta che l’ho visitata, solo per un breve fugace saluto, era il 2017: erano spariti i campi e i frutteti all’intorno ed era già stretta tra le mura di una nuova lottizzazione, con il prato ormai ridotto a poco più di un giardinetto. Di lì a breve sarebbe stata abbattuta.
Ma mentre le fiabe hanno un finale, questa, che è una storia vera, non finisce certo così: un nuovo edificio è sorto, a poca distanza, e ha mantenuto, letteralmente, il cuore della vecchia casa. Rosanna e le altre volontarie, ben consapevoli dell’importanza della memoria dei primi anni che ognuno trascorre su questa terra, hanno fortemente voluto riutilizzare il più possibile gli arredi, i quadri e i decori storici anche nella nuovissima costruzione.
Ecco allora come vorrei terminare questa storia: c’era una volta una casa che adesso c’è ancora. I ragazzi, gli uomini e le donne che l’hanno abitata quando erano bambini, possono ancora tornare lì, incontrarsi tra di loro, ritrovare sé stessi, giocare con i nuovi bambini nel nuovo prato per imprimervi ancora le loro impronte, rivedere, appesi alle pareti o disseminati nelle moderne stanze, almeno alcuni dei propri ricordi, tornare in quella che è stata casa loro e ripartirsene, spero, con la serenità nel cuore. Perché le case, quando sono piene d’amore, oltre ad avere un soffitto aperto sul cielo, non sono certamente fatte di soli muri.
L'Astrolabio di Swanbook
Redazione: Desenzano del Garda
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