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Piantare in ... Nasso

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Piantare in Nasso: un intricato labirinto di maledizioni
Rovine dell'isola di Nasso
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Vi siete mai chiesti l'origine di alcuni appellativi geografici? O da dove saltino fuori alcune idiomatiche espressioni? O, ancora, quali impalpabili legami tengano uniti determinati miti (miti che mai avremmo immaginato connessi)?
Oggi cercheremo di fornire, insieme, una risposta ad alcuni dei nostri quesiti, viaggiando fra le rovine di antiche isole e toccando corde ancora riverberanti nel nostro animo, sebbene sfiorate, per la prima volta, millenni or sono.
Ora chiudete gli occhi e focalizzatevi su una calda isola del Mediterraneo; alle vostre spalle: un meraviglioso palazzo dalle colonne scarlatte e dagli affreschi policromi; innanzi a voi: un mare incantato, dalla cui spuma sorge un candido toro.
Naturalmente, l'isola non può che essere Creta, e il maestoso animale (eburneo, possente) è un dono inviato da Poseidone, dio del mare, al nuovo sovrano: Minosse. Già: proprio quel Minosse che in Dante riveste il ruolo di giudice infernale, splendidamente tratteggiato nelle illustrazioni di Doré.
Minosse... il figlio della giovane Europa, giunta a Creta su un toro bianco che si rivelò essere Zeus, affascinato da lei sino al punto di rapirla e costringerla a mettere al mondo la sua prole.
Minosse, che pregò Poseidone d'inviargli un candido toro da immolare su un altare, per propiziare la sua stessa ascesa al trono.
Ma l'animale era troppo bello per essere sacrificato, e Minosse scelse di tenerlo per sé.
Minosse (di Gustave Doré)
Così, Poseidone, adirato per l'affronto, si preparò a punire il novello sovrano nel modo più classico (e più terribile) mai concepito dalle divinità: scagliandosi, generazione dopo generazione, sui suoi congiunti.
La prima a farne le spese fu la moglie di Minosse, la devota Pasifae, che, notte dopo notte, sotto la neonata Costellazione del Toro, creata da Zeus in onore di Europa, osservava il toro bianco rilucere sotto i raggi della Luna. Nascosta dietro selve di colonne, non poteva fare a meno di desiderare di unirsi a lui. E, ad aiutarla nel mostruoso intento, intervenne Dedalo, architetto ateniese: costruì una sagoma cava, in foggia di bovino, dentro la quale la regina si rannichiò, in attesa di attirare l'attenzione dell'oggetto del suo desiderio.
Dall'abominevole amplesso scaturì il Minotauro, celeberrimo ibrido dalla testa di toro, che Minosse provvide a celare in un labirinto, progettato nientemeno che dal succitato Dedalo. Ed ecco quindi perché un intrico di viottoli e strade, un dedalo, appunto, viene ancor oggi indicato, nella nostra lingua, col nome del mitologico architetto; il termine labirinto sorge invece da labrys, l'ascia bipenne che Dictynna, divinità femminile cretese armata di serpenti, era solita brandire.
Teseo e il Minotauro
Il resto, come si suol dire, è storia: Dedalo, affinché non rivelasse a nessuno la via d'uscita dal labirinto, fu rinchiuso al suo interno assieme al figlio Icaro. L'abilità dell'architetto sembrò dunque aver messo a dura prova la sua sopravvivenza, ma al contempo, lo salvò: col solo ausilio di piume e di cera, l'ateniese forgiò ali posticce per sé e per il figlioletto. I due riuscirono a levarsi in volo prima che il Minotauro li agguantasse, ma ciò non bastò a trarre Icaro al sicuro: nonostante le accorate raccomandazioni del padre, il giovane si accostò al Sole sino a che il calore fece colare la cera dalle ali. Il desiderio di sfidare l'autorità genitoriale, l'adolescenziale voglia di giungere al limite delle sue capacità portarono Icaro a rovinare nel mare sotto gli occhi impotenti del padre. E affogare, perché le ali, avvoltesi attorno al suo corpo, gli impedivano di nuotare.
E il Minotauro? Non era certo rimasto a bocca asciutta. Dovete sapere, infatti, che svariati decenni prima, Egeo, il re di Atene, aveva ucciso un figlio di Minosse, colpevole solamente di averlo battuto in alcune gare sportive. Da quel momento, il re di Creta aveva costretto Egeo a inviare periodicamente dei fanciulli ateniesi presso l'isola, affinché fossero divorati dalla creatura nel labirinto.
Ma giunse il tempo in cui, fra quei fanciulli, s'intrufolò Teseo, figlio di Egeo: grazie al celeberrimo espediente del gomitolo retto da Arianna, figlia di Minosse, il principe ateniese riuscì a districarsi nel dedalo di strade, assassinare il Minotauro e ritrovare il punto da cui era partito. Ora, naturalmente, sorge spontanea una domanda: per quale ragione Arianna scelse di tradire il padre (nonché il mostruoso fratellastro) per un uomo che aveva appena conosciuto? Semplicemente perché abbagliata dall'amore. Un amore infantile, idealizzato e, purtroppo, non corrisposto, in quanto Teseo venne meno alle sue promesse: finse soltanto di condurre Arianna con sé, lontano da Creta, al fine di renderla la sua sposa. E poi la lasciò, di punto in bianco, nell'isola di Nasso (è proprio in questo episodio che trova fondamento la nostra espressione: piantare in (N)asso).
Pensate che Teseo sia stato un orribile opportunista, pronto a sedurre ingenue pulzelle pur di ottenere ciò che desiderava? Non avreste tutti i torti.
Sappiate che, però, anche Minosse, prima di sposare Pasifae, si era comportato nello stesso identico modo: aveva circuito una principessa, la giovane Scilla, spingendola a strappare al padre quel capello che lo rendeva invulnerabile, consentendogli così di conquistarne la città. Poi, l'aveva abbandonata.
Ma se Scilla morì senza riscatto, Arianna ebbe in sorte un futuro ben più radioso: venne notata da Dioniso, il dio orientale tanto gioviale quanto terrificante e tenebroso, che la trascinò sul suo carro trainato da pantere.
Lasciata da un eroe, Arianna ottenne una seconda occasione, divenendo sposa di una divinità.
Arianna e Dioniso
Cosa accadde, invece, a Teseo? Il suo tradimento non rimase impunito... anche se a farne le spese furono, ancora una volta, le persone a lui più vicine. Dimenticatosi di issare sulla nave delle vele bianche, simbolo di vittoria, Teseo navigò verso Atene; suo padre, il vecchio Egeo, scorgendo all'orizzonte delle vele nere, immagine di morte, si gettò da una scogliera, convinto di aver perso il figlio. L'anziano sovrano affogò, fondendo le sue lacrime con le onde di quel mare che da lui prese il nome: il Mar Egeo.
Teseo, quindi, salì al trono, prendendo il posto del padre; decenni dopo sposò, in seconde nozze, Fedra, altra figlia di Minosse... e sorella proprio di quell'Arianna che egli aveva abbandonato senza remora alcuna. Ma questa è un'altra, affascinante, storia, e si racconterà un'altra volta.
Creta, Nasso, Atene... Assassinii, vendette, tradimenti. Dopo quest'intensa carrellata, è giunto il momento di fermarci.
Naturalmente, l'itinerario lungo i sentieri della nostra memoria collettiva non può esaurirsi in due sole tappe. Ma oggi abbiamo segnato un'altra meta intermedia nel nostro percorso di conoscenza e introspezione: abbiamo scoperto quali miti si celino dietro termini, toponimi ed espressioni a cui, sovente, attingiamo “superficialmente” (dedalo, labirinto, piantare in asso, mar Egeo). Ci siamo resi conto di quanto i miti mediterranei costituiscano un intricato intreccio di collegamenti sotterranei, al pari dei magazzini del palazzo di Cnossos in cui il labirinto fu in origine identificato.
E, soprattutto, ci siamo sentiti in grado di empatizzare con figure archetipiche e leggendarie. Perché ciascuno di noi, almeno una volta, al pari di Arianna, si è addolorato per la fine di quel che si credeva Amore, per poi aprirsi a un sentimento ancor più vasto e inaspettato.
Alcuni di noi, poi, come Dedalo, avranno rischiato di finire nei guai per un utilizzo errato delle proprie arti, oppure avranno cercato, dalla prospettiva privilegiata di una maggiore esperienza, di allontanare dal pericolo un neofita entusiasta. E alzi la mano chi, novello Icaro, non abbia scelto, pur in sporadiche occasioni, di disobbedire ai retti consigli dei propri genitori, foss'anche solo per provare a prendere una strada invitante e mai battuta, con l'entusiasmo della fanciullezza, a costo di bruciarsi le ali con le conseguenze dei propri sbagli.
E cosa potremmo dire riguardo al Minotauro? Beh... Se lo immaginassimo, al pari di Borges nel suo racconto La casa di Asterione, come un essere senziente e malinconico, intento a giocare a rimpiattino da solo in un labirinto troppo grande per una singola creatura, estraniato dal mondo soltanto perché diverso... Se ce lo figurassimo osservare i profili dei palazzi contro la luna e ascoltare lo sciabordio notturno delle onde, chiedendosi cosa possa esserci oltre le mura della sua prigione... Se lo concepissimo come un essere che, pur di non vedere il terrore divorare i fanciulli ateniesi, sceglie di dar loro, nel suo distorto senso di pietà derivato dall'assenza di una morale condivisa, una morte da lui vista come liberazione...
Forse, in questo caso, vincendo la repulsione, ci siederemmo nella polvere, al suo fianco. Per raccontargli di quella volta che anche noi ci siamo sentiti diversi, sperduti, senza prospettive. E di come ci siamo accorti, poi, che la divergenza non può essere una colpa, e che la solitudine non dovrebbe mai, mai giungere a generare un alienato rancore.
L'Astrolabio di Swanbook
Redazione: Desenzano del Garda
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