Verona Dantesca
Arte e Cultura > Leggendo e viaggiando con Jennifer tra cultura, arte e mito
VERONA DANTESCA
ovvero: come il Sommo Poeta venne
influenzato dalla città dell'amore
Provate
a immaginare di essere stati allontanati con l'inganno dalla vostra città, una
città per la quale tanto vi siete impegnati culturalmente e politicamente.
Provate a figurarvi che, a tradimento, vi venga recapitata la notifica di un
processo-farsa, da tenersi a vostro carico all'imminente rientro in patria.
È quello che accadde, nel 1301, al Sommo Poeta: Dante Alighieri (a proposito: sapevate che il suo vero nome era Durante, e che il “cognome” che gli attribuiamo non è che la modernizzazione del patronimico Alagherii?).
Attirato a Roma da Papa Bonifacio VIII in virtù della carica politica da lui al tempo ricoperta, Dante si trovò lontano da Firenze quand'essa venne occupata dalle truppe di Carlo di Valois, alleato del Pontefice.
Carlo, fratello di Filippo IV, re di Francia, appoggiò la nomina a Podestà di un esponente dei Guelfi Neri, il condottiero Cante Gabrielli, che si lanciò immediatamente in una campagna persecutoria nei confronti delle personalità più rilevanti fra i Guelfi Bianchi. Tra queste, spiccava Dante Alighieri.
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la Verona Scaligera
A questo punto, al nostro poeta non
rimanevano che due alternative: sottoporsi a una disdicevole umiliazione
(accettare un processo-farsa, tacciato di crimini altamente infamanti) o
incamminarsi lungo i sentieri di un esilio volontario. Esilio che, negli anni
successivi, sarebbe stato sancito dal governo fiorentino come perpetuo: se
avesse rimesso piede in terra natia, Dante sarebbe stato arso vivo.
Fra
le tappe delle sue lunghe peregrinazioni, merita ben più di un cenno la città
di Verona, governata, al tempo, dagli Scaligeri. Già all'inizio del XIV secolo,
il poeta fiorentino era stato ospitato da Bartolomeo della Scala; nella città
dell'amore soggiornò, inoltre, fra il 1312 e il 1318.
C'è chi afferma che la struttura a cerchi concentrici dell'Inferno dantesco sia stata ispirata dall'osservazione dell'Arena e dai suoi gradoni superiori, estremamente suggestiva, sebbene il giro di mura più esterno, di cui ora rimane solo una sezione, detta “ala”, fosse già rovinato a causa di un terremoto.
C'è chi sostiene, poi, che la terrificante descrizione della porta dell'Inferno, nel III canto della Divina Commedia, sia ricollegabile alla visione, da parte di Dante, del maestoso portale a formelle bronzee della Basilica di San Zeno, in pieno centro cittadino.
Ciò che è certo è che il poeta non
disdegnò di intessere nella trama della Commedia
piccoli tasselli di preziosi omaggi alle famiglie più in vista di Verona, oltre
che alle sue tradizioni.
Come non ricordare, a tal proposito, il riferimento ai
“Monticuli” e ai “Cappelletti”, presente nel canto VI del Purgatorio?
Forse, secondo la grafia originaria, questi cognomi non
ci diranno alcunché... Ma se li decifriamo come “Montecchi” e “Capuleti”, ecco
che una delle storie d'amore più travagliate della tradizione teatrale (Romeo e Giulietta) si affaccia alla
soglia della nostra memoria.
Nel
Paradiso, invece, l'illustre
trisavolo di Dante, Cacciaguida, profetizza l'esilio al discendente: esilio
reso più dolce dalla lodevole ospitalità di un “Gran Lombardo”, sulla cui
“scala” spicca un'“aquila grande”.
Se sotto le spoglie del nobile ospite si
celasse Cangrande o Bartolomeo, (sebbene si propenda largamente per il primo)
non ci è dato saperlo; tuttavia, è chiaro il riferimento agli Scaligeri, il cui
stemma, secondo la variante adottata da Cangrande, presentava, appunto, una
scala, impreziosita da un'aquila stilizzata, a indicare l'affiliazione della
famiglia ghibellina all'imperatore tedesco.
struttura dell'inferno Dantesco
Di carattere gustosamente
folkloristico è, poi, il riferimento a una tradizione della città dell'amore
che troviamo nella chiusura di un canto dell'Inferno (il XV): il letterato fiorentino Brunetto Latini, maestro
di Dante e da lui annoverato, inspiegabilmente, fra i sodomiti, è descritto
mentre si allontana di corsa dall'allievo, del tutto simile a colui che tagli
il traguardo al palio di Verona, vincendo un drappo verde.
Al tempo del
soggiorno dantesco, la manifestazione sportiva prevedeva soltanto due tipologie
di partecipanti: i podisti, rigorosamente nudi, e i cavalieri. Al primo
classificato di ogni categoria spettavano, rispettivamente, il già citato
drappo verde e un drappo rosso; agli ultimi in classifica, una gallina o una
coscia di maiale da portare al collo.
Ruina Dantesca
Gli svaghi veronesi di Dante, però,
non potevano certo esaurirsi qui: negli anni trascorsi presso gli Scaligeri il
poeta si concesse numerose esplorazioni nei dintorni della città. Ne sono
testimonianza i riferimenti a Peschiera e al lago di Garda, da lui denominato
Benàco (Inferno, canto XX), nonché la
descrizione della frana che rende ostica la discesa dal VI al VII cerchio dell'Inferno, e che viene dall'autore
paragonata a quella che, un tempo, aveva “percosso il letto dell'Adige”. Tale
frana viene tradizionalmente identificata con la suggestiva ruina dantesca svettante nei pressi di
Rovereto, sebbene non manchino interpretazioni alternative (sempre in
riferimento a splendidi angoli del paesaggio trentino).
Durante
il periodo trascorso a Verona, però, Dante si lasciò influenzare, oltre che
dalle ricchezze naturalistiche del territorio, dalla cultura dei frati
agostiniani del Monastero di Sant'Eufemia, e consultò, con ogni probabilità, i
testi presenti nella Biblioteca Capitolare della città.
Nel 1318, per ragioni ancora
imperscrutabili, Dante si congedò dalla città degli Scaligeri, che tanto
l'aveva ispirato durante la stesura della Divina
Commedia. Due anni più tardi, ormai alla vigilia del suo trapasso,
condivise coi letterati veronesi la relazione in latino Quaestio de aqua et terra, nelle speranza, forse, di diventare
docente presso lo Studio della città.
L'incarico
non venne affidato a Dante, eppure Verona lo ricorda ancora: con una piazza, in
pieno centro storico, a lui dedicata, al centro della quale spicca un suo
simulacro di tre metri d'altezza in marmo di Carrara. E tramite la Villa
Serego-Alighieri, di proprietà dei discendenti di un figlio del Sommo, Pietro,
che della città s'innamorò al punto tale da renderla sua stabile dimora.
L'Arena dall'alto e i suoi cerchi che hanno forse ispirato Dante