Edipo vagante: fra crocicchi di strade e labirinti interiori
Arte e Cultura > Leggendo e viaggiando con Jennifer tra cultura, arte e mito
Edipo... Una delle figure più note della tradizione classica. Una delle più tragicamente maestose, innanzi alla quale artisti, drammaturghi, letterati (e, ahimè, psicanalisti) non hanno resistito, fiondandosi a plasmarne una loro rappresentazione. Eppure, la versione del mito maggiormente declinata non è che una sola (e, perdipiù, relativamente “recente”) delle sue innumerevoli varianti.
Ne esistono di ancor più oscure e tenebrose, che affondano le radici nel cedevole terreno di una cultura dimenticata, di una civiltà “della vergogna”, di una società in cui i valori erano alquanto diversi da quelli attuali. Ma le paure, gli sbagli, le emozioni... Oh ... così attuali!
Edipo e la sfinge (G. De Chirico)
Avremo il tempo
e le occasioni per approfondire la miriade di sfaccettature stratificatesi, nel
corso di ben tre millenni, sul mito di Edipo. In questa sede, però, amerei
parlarvi dei suoi viaggi, così come ci vengono suggeriti da Seneca e da
Sofocle: viaggi fisici, viaggi metaforici... Viaggi che, forse, potrebbero
farci scoprire qualcosa in più su di noi.
Siete pronti a
partire, armati soltanto di un bastone per meglio solcare i polverosi sentieri
della Beozia e del vostro ingegno per risolvere terrificanti enigmi?
La nostra prima
tappa sarà la città di Tebe, governata da un sovrano tracotante e autoritario:
si tratta di Laio, sposo della giovane Giocasta. Laio, che sta per irrompere,
ubriaco, nelle stanze della regina, è appena tornato da Delfi. L'oracolo, da
lui interrogato sul perché Giocasta non riuscisse a concepire un suo erede, gli
ha risposto, in maniera sibillina, sviando l'attenzione dal quesito originario:
Il tuo erede sposerà sua madre, dopo aver ucciso te, suo padre.
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Viandante a colloquio con la Pizia
Laio, infatti,
si è macchiato di un orribile delitto: ha rapito Crisippo, il figlio di un
vecchio ospite, privandolo della sua innocenza contro la sua volontà. Pertanto,
maledetto dal padre del ragazzo, dovrà scontare una pena terrificante, che
segnerà la sua stirpe per tre generazioni.
Incapace di
controllarsi, pur conoscendo, in anticipo, le conseguenze infauste del gesto
che sta per commettere, Laio sfida gli dèi, e violenta Giocasta. Allo
sventurato neonato, venuto al mondo in seguito allo stupro, vengono forate le
caviglie; vi si passa, in mezzo, un anello di ferro, affinché l'ombra del
piccolo resti incatenata all'Ade, dopo la morte, senza poter tornare a reclamar
vendetta nel mondo dei vivi.
Edipo
(letteralmente: “Dai piedi gonfi”, in riferimento alla tortura inflittagli)
viene affidato a un pastore, affinché venga, al pari di infiniti altri bambini
del mito e delle fiabe, abbandonato in un bosco sul monte Citerone, caro alle
Muse. Ma, in realtà, l'infante viene accolto da un altro pastore, che lo
conduce ai regnanti di Corinto, desiderosi di un erede.
Immemore del suo
primo viaggio, Edipo cresce senza alcun dubbio sulla sua reale ascendenza; ma
una strana inquietudine serpeggia in lui quando un giovane brillo, durante un
banchetto, lo appella come “bastardo di suo padre”. Incurante delle preghiere
dei sovrani di Corinto, che l'hanno cresciuto, il principe ripercorre le orme
del suo genitore biologico, intenzionato a interrogare l'oracolo di Delfi sulla
sua vera identità.
Nel momento in
cui il responso gli notifica l'imminente uccisione, da parte sua, del padre, e
il conseguente sposalizio con la madre, Edipo fugge il più lontano possibile da
Corinto. Lo scopo del viaggio pare ora cambiato: sembra non trattarsi più della
ricerca delle proprie origini, bensì della fuga (disperata) dal proprio
destino.
Eppure, il giovane
si sta dirigendo proprio dove il Fato avrebbe desiderato: presso un crocicchio
di tre strade, gli si para innanzi, su un carro, un vecchio tronfio e altero. I
due viaggiatori si scrutano, con aria di sfida: nessuno dei due vuol cedere il
passo all'altro. A un tratto, il più anziano scocca una sferzata sul volto di
Edipo; invaso da una cieca (termine grottescamente azzeccato, come scopriremo)
furia, il giovane si scaglia contro il vecchio e i suoi servitori,
assassinandoli, uno dopo l'altro, con un bastone.
Mentre l'unico
superstite si dà rocambolescamente alla fuga, Edipo ritorna in sé. Dopo un
istante di atrocità pre-civile (non si è servito di una lama, bensì di un
attrezzo “preistorico”, ancestrale), di nuovo sicuro e posato, si rimette in
cammino. Ed è sullo sfondo di una Tebe priva di guida che il suo cammino si
intreccia a quello di una Sfinge: un meraviglioso ibrido donna-felino, il quale
gli porge lo stesso indovinello a cui hanno già tentato di rispondere
innumerevoli coraggiosi, le cui ossa, ormai, giacciono spolpate tra le zampe
del mostro mitologico.
Dalle labbra
della Sfinge fluiscono queste parole: Chi è quell'essere che al mattino
procede con quattro zampe, a mezzogiorno con due e la sera con tre? Ed
Edipo, unico risolutore di enigmi, risponde: L'uomo. L'uomo, che
all'alba della sua vita si trova a gattonare, per poi ergersi sui due piedi nel
pieno della vita e appoggiarsi a un bastone nel tramonto dell'esistenza.
Edipo e la Sfinge
Muore, la
Sfinge, gettandosi in un baratro. Ma verso una voragine ancor più profonda
procede Edipo, che, per aver liberato Tebe dal mostro che la vessava, ne
ottiene la reggenza... e la regina. Regina che è ancora Giocasta, dalla
quale il nuovo re avrà ben quattro figli.
Scorrono gli
anni, ed Edipo, considerato unanimemente un sovrano miracoloso, è chiamato a
risolvere un inedito mistero: da cosa è causata la peste, nuovo flagello che
turba Tebe? In seguito a nuovi, metaforici viaggi, percorsi a ritroso nella
memoria di antichi testimoni, sentieri fra i boschi e verso oracoli riportati
alla luce, il sovrano giungerà a scoperchiare l'orrendo otre delle verità: la
peste si è generata a causa dell'uccisione del suo predecessore.
A nulla valgono
le preghiere di Giocasta e di Tiresia, l'indovino di corte, che hanno intuito
l'identità del colpevole prima di lui e che ora gli chiedono di smettere
d'indagare. A nulla serve la reticenza dei pastori e del servitore sfuggito
alla sua furia massacratrice di vent'anni prima. Edipo, ormai, vuol agguantare
il bandolo dell'intricata matassa. Scoprendo, infine, di essere lui stesso
l'appestatore. Lui, parricida, che assassinò Laio sulla strada verso Tebe. Lui,
incestuoso, che generò figli con la sua stessa madre.
Edipo ed Antigone
Dopo aver
assistito al grottesco suicidio di Giocasta, Edipo, come suggeritoci da Sofocle,
si trafigge gli occhi con lo spillone del mantello della madre-sposa. Oppure se
li strappa dalle orbite con le unghie, se ci affidiamo alla versione senecana.
Le conseguenze sono, comunque, le stesse: sarà costretto a vagare fino alla
fine della sua esistenza, col solo ausilio di un bastone e del braccio della
figlioletta Antigone a cui appoggiarsi. Solo, col suo senso di colpa. Solo, con
la consapevolezza del suo fallimento. E privo degli occhi, anche
simbolicamente.
Perché Edipo ha
visto ciò che non avrebbe dovuto vedere, e non ha visto l'unica cosa che
avrebbe dovuto vedere. Lui, lo scioglitore di enigmi, fiero delle sue
(presunte) abilità intellettuali, aveva cercato ovunque la colpa, meno che
dentro di sé. Lui, l'unico che si riteneva in grado di risolvere, ancora una
volta, il delirio in cui Tebe era scivolata, era stato anticipato da tutti
nello scoprire la verità sulla sua stessa identità. E aveva risolto
l'indovinello della Sfinge solo perché gli dèi avevano stabilito così.
Stiamo per
giungere al termine del nostro percorso. Ma, mentre osserviamo le curve spalle
di Edipo, invecchiato di colpo, allontanarsi verso il tramonto della sua vita
appoggiandosi al bastone (quel tramonto e quel bastone prefigurati
dall'enigma), non possiamo non chiederci quanto ci sia, di attuale,
nella vicenda dello sventurato sovrano.
Non vi è mai
capitato di cercare un colpevole altrove (in qualunque altro... “luogo”),
piuttosto che riflettere su voi stessi? Non vi è mai accaduto di tralasciare
una soluzione, soltanto perché troppo vicina... così semplice, così banale, da
non essere stata, inizialmente, nemmeno presa in considerazione? Non vi è mai
successo di ritenervi intellettualmente sicuri di qualcosa, per poi esser,
brutalmente, riportati alla realtà?
Edipo è morto, ci
notifica Sofocle. Riposa all'ombra fresca di qualche albero, presso Atene.
Finalmente riabilitato, grazie a un nuovo oracolo; finalmente in pace. Edipo è
morto, ma alcuni suoi tratti permangono, inesorabilmente, in ognuno di noi.