Inquietante, ambivalente DIoniso ... - L'Astrolabio Online Magazine

L'ASTROLABIO ONLINE
Magazine di Arte Cultura Territorio Ambiente Società
Vai ai contenuti

Inquietante, ambivalente DIoniso ...

Arte e Cultura > Leggendo e viaggiando con Jennifer tra cultura, arte e mito
10/09/2020

... INQUIETANTE, AMBIVALENTE DIONISO ...
(ovvero: IL TRIONFO DEL MOLTEPLICE)
di Jennifer Bertasini
Quante volte ci hanno raccontato che le divinità del pantheon greco possiedono virtù e vizi tipici dei mortali? Quante volte ce li hanno presentati accostandoli, semplicemente, a una singola caratteristica? Venere e bellezza, Eros e amore... Zeus e infedeltà. Binomi affascinanti, certo, ma... oh!, così riduttivi.
Prendiamo, come esempio, un oscuro dio orientale: Dioniso. Usualmente assimilato all'uva, all'ebbrezza, alla giocondità, il corrispettivo greco di Bacco (a proposito: sapete che l'appellativo Bakchos veniva utilizzato per Dioniso anche dai greci, ma soltanto in occasione dei culti orgiastici e misterici in suo onore?) era, in realtà, alquanto tenebroso.
In effetti, se scrostassimo la pellicola dell'apparenza, stratificatasi in millenni di rilievi rappresentanti tale divinità gioiosamente spaparanzata su un triclinio, circondata da pampini e brocche, e secoli di testi alla Lorenzo de' Medici, ove impera il Carpe diem, scopriremmo un intreccio di omicidi, devastazioni e follia ben più intricato di un semplice tralcio di vite. Facciamoci coraggio, ordunque, e traiamo un profondo respiro, immergendoci nelle acque turbinose del suo mistero.
Innumerevoli sono i miti relativi alle origini di Dioniso, divinità proveniente da incerte lande orientali al comando di un carro trainato da pantere. Ora, se la sua figura sia una rielaborazione di una divinità della Tracia, dell'Egitto o di qualsivoglia altra regione non è, al momento, rilevante. Ciò che ci interessa, in primo luogo, è l'ambiguità aleggiante intorno alle vicende relative al suo concepimento.
Sostieni L'Astrolabio
Dona con PayPal
un piccolo contributo
per noi è un grande tesoro
ci aiuterai a fare informazione
Nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus
Secondo l'ipotesi maggiormente accreditata, Dioniso sarebbe scaturito da un rapporto fra Semele, principessa tebana, e Zeus, presentatosi all'amante in una forma più dimessa dell'ordinario per evitare di folgorarla con la sua luminescenza. Tuttavia, Era, la sorella-moglie del padre degli dei, si recò, a sua volta sotto mentite spoglie, dalla nuova fiamma (come vedremo, il termine non è casuale) del marito.
Circuita da quella che riteneva essere soltanto una vecchia balia, e istigata dalle sue tre sorelle, Ino, Agave e Autonoe, che le rimproveravano di essere rimasta incinta fuori dal matrimonio e mettevano in dubbio la reale natura del suo amante, Semele finì, ahimè, per indurre Zeus a mostrarsi a lei nella sua vera forma attraverso uno stratagemma.
Inutile specificare come l'invidiosa Era, ancora priva di progenie, abbia avvertito il suo ardente fastidio stemperarsi in tronfia soddisfazione quando la sventurata principessa si tramutò in un cumulo di cenere, nel momento esatto in cui Zeus si mostrò nella sua proverbiale, bruciante lucentezza. Il sovrano degli dei, però, pur avendo perso la sua amata, riuscì a salvare il feto, sradicandolo da quel che rimaneva nel ventre della madre e cucendolo dentro la sua stessa coscia per gli ultimi tre mesi della gestazione.
Secondo un'altra versione del mito, Dioniso non sarebbe altri che Zagreo, figlio di Persefone e Ade, smembrato dai Titani quand'era ancora un infante. Anche qui, innanzi alle spoglie straziate del bambino, possiamo osservare l'intervento salvifico di Zeus: raccolto il cuore del nipotino fra le mani, ne ricavò un brodo che fece bere a Semele, sua amante, affinché rigenerasse il pargolo, a cui venne attribuito un nuovo nome: Dioniso.
Tale appellativo, in effetti, non è minimamente dovuto al caso: significa, opportunamente, “nato due volte” (o, secondo altre versioni, “dalla doppia porta”). La duplicità, infatti, è insita nella sua essenza, così come l'attitudine a incarnare tipologie di persona differenti e la tendenza all'inganno, oltre che all'oscura devastazione (tratti che abbiamo già visto in Zeus, Era, e persino Semele, in seguito al suo concepimento).
In effetti, tale dio, amante dei travestimenti e dell'ambiguità, emblema del teatro comico e tragico al contempo, non era certo lo stereotipo dell'ubriacone gonfio e rubicondo con cui siamo, solitamente, abituati a identificarlo.
Amava, piuttosto, indossare vesti ricercate, e lasciar ondeggiare al vento i lunghi boccoli dorati. Dai lineamenti androgini e delicati, non gli dispiaceva farsi passar per fanciulla. Ma la tenera apparenza ben contrastava col carattere audace e vendicativo: le punizioni che Dioniso infliggeva ai suoi nemici (a coloro che, soprattutto, osavano mettere in dubbio la sua identità o la sua origine divina) erano fra le più devastanti dell'intero cosmo antico.
Baccanti in delirio orgiastico
Licurgo punito da Dioniso
Come non rabbrividire, ad esempio, al racconto della morte di Licurgo? Lo sventurato re di Tracia si rese colpevole “soltanto” di aver scacciato la divinità errante e il suo seguito di satiri (figure semi-antropomorfe e semi-caprine, e, pertanto, ulteriore simbolo di ambiguità) dal suo territorio.
Ne guadagnò, in cambio, la condanna alla follia, che lo condusse a focalizzare un ramo d'edera al posto di suo figlio (o, secondo una versione alternativa, a visualizzare un tralcio di vite anziché il suo stesso piede), per poi farlo a pezzi con una scure.
Sorte analoga (follia e devastazione) toccò a Penteo, cugino di Dioniso e re di Tebe, oltre che alle sue zie. Egli, infatti, aveva osato accogliere il dio con sberleffi e umiliazioni, permettendosi persino d'incarcerarlo, degradandolo semplicemente a demone responsabile dell'improvvisa follia dilagante fra le donne tebane. Terribile fu la reazione di Dioniso: nell'oscurità vellutata della notte, un rombo assordante sancì la distruzione delle prigioni; in seguito al terremoto, dalle rovine fumanti emerse, più sfavillante che mai, la divinità.
Ben più che disposta a punire Penteo per l'affronto, lo condusse al limitare di un bosco, con la scusa di mostrargli a quali turpi rituali si fossero accostate Agave, madre del sovrano, e le sue sorelle: serpeggiava la voce che le tebane si riunissero, di notte, sul monte Citerone, deliziandosi con amenità orgiastiche e sanguinolente (implicanti, fra l'altro, lo squartamento di un'intera mandria di bovini). In effetti, dalla cima di uno slanciato albero, abbigliato e imbellettato, al pari di Dioniso, come una fanciulla, Penteo inorridì nello scorgere le principesse tebane roteare follemente in una radura, impregnate di dionisiaca mania (termine che, in greco, indica la pazzia). Agave, scorto quello che sembrava un leone di montagna appollaiato fra i rami di un albero, istigò le compagne a sradicare la pianta; naturalmente, il leone non era certo un leone, ma il re di Tebe, che lasciò questo mondo fra lancinanti sofferenze, atrocemente squartato, a mani nude, da sua madre e dalle sue zie.
L'orribile epilogo della vicenda di Penteo
Punito il cugino, che aveva osato insinuare che Semele non fosse stata ingravidata da Zeus, bensì da un comune mortale, Dioniso non trascurò di vendicarsi su Agave stessa, che per prima aveva messo in giro tale voce. Le permise, dunque, di giungere trionfante sino alla piazza principale di Tebe, per mostrare, orgogliosa, a suo padre Cadmo, il cranio del “leone” infilzato su una picca. Soltanto in quel momento Dioniso diradò l'offuscamento nella sua mente: straziata, la madre si dilaniò interiormente per l'orribile delitto da se stessa perpetrato nei confronti del figlio. A nulla valsero le preghiere del vate Tiresia (il cieco indovino che, più avanti, avrebbe assistito anche alla disfatta di Edipo): Cadmo e Agave furono costretti all'esilio, in luoghi diversi, assaggiando involontariamente l'esistenza nomade del crudele “nipotino”.
L'incontro tra Dioniso e Arianna
Naturalmente, tutto questo non preclude il fatto che Dioniso potesse essere, in altre circostanze, estremamente amabile e compassionevole; fu infatti lui a risollevare Arianna, accasciata, nell'isola di Naxos, intimandole di smetterla di stracciarsi le vesti per quel seduttore impenitente di Teseo: un pretendente migliore si stagliava ora innanzi a lei... Un dio (e fra i più potenti). Nulla di paragonabile a un semplice “eroe”.
Dioniso... Terribile e accogliente, rilassato e vendicativo, uomo e donna. E, ancora: nato due volte, disgregato e ricomposto, ellenico e barbaro insieme. Una divinità proteiforme, ben lontana dalla riduttiva semplificazione della cultura moderna occidentale, ma anche della radicale distinzione operata da Nietsche fra spirito apollineo (ordinato e razionale) e dionisiaco (rappresentazione del caos e del divenire).
Sia Dioniso che Apollo possedevano, infatti, tratti ambigui e contrastanti (non dimentichiamo che Apollo era, effettivamente, accostabile tanto alla pestilenza, quanto alla guarigione), che, anziché collocarli su rette parallele, contribuivano a far intrecciare i loro sentieri.
A conti fatti, Dioniso non è anti-civile, come potrebbe apparire, per alcuni tratti, il bestiale Eracle: è, piuttosto, pre-civile. E, coltivando per primo la vite, oltre al luppolo e al melo, contribuì a traghettare gli uomini oltre l'originario stato ferino. Anche lo sparagmòs, o squartamento rituale, potrebbe forse essere stato ricondotto, originariamente, a una tipologia arcaica di sacrifici: quelli agresti, atti a propiziare il raccolto (non a caso, secondo una versione del mito Dioniso sarebbe nato da Persefone, figlia di Cerere, dea delle messi, e anche Osiride, divinità egizia della fertilità, fu ritualmente fatto a pezzi prima di essere ricomposto da Iside, sua sorella-sposa).
Apollo e Dioniso, solo apparentemente contrapposti
Eccoci qui, quindi: a riemergere dalle gelide profondità di un abisso illimitato. Aggrappati al bordo scivoloso di questa spaccatura nella banale monodimensionalità di cui, prima d'ora, eravamo soliti ammantare la figura di Dioniso, non possiamo non distendere le labbra in un sorriso amaro: quanto è simile, ciascuno di noi, all'oscuro dio orientale? Quante volte veniamo etichettati soltanto sulla base di una semplice manciata delle nostre caratteristiche? Quante volte viviamo prigionieri di un singolo stereotipo? Per chi ci conosce a stento, superficialmente, o soltanto “per sentito dire”, potremmo essere, esclusivamente, “la lentigginosa imbronciata”, “il timido in ultimo banco”, “l'avvocato imbroglione”, “l'attempato viveur”... “il dio del vino e dell'ebbrezza”.
Eppure, quante sfaccettature si nascondono nella nostra essenza? In quante diverse vesti ci manifestiamo, al pari di Dioniso, che amava mostrarsi sotto le spoglie di un leone, un serpente, un toro o un capretto a seconda delle circostanze? Quante passioni in contrasto fra loro, quante forze dirompenti ci dimorano dentro, trascinandoci, alternativamente, verso l'alto e il basso, il bene e il male, la vendetta e l'accettazione, al pari dei cavalli della biga alata di Platone?
L'Astrolabio di Swanbook
Redazione: Desenzano del Garda
Contattaci:
redazione@lastrolabio.swanbook.eu
Torna ai contenuti