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23 maggio 1992: la strage di Capaci

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23/05/2020

Oggi è il 23 maggio 2020, sono trascorsi 28 anni dal quel tragico 23 maggio 1992, giorno dell’attentato di Capaci. Sono passati 28 anni da quel 1992 che è stato palcoscenico tetro e terribile delle morti di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della loro scorta, ma non solo, poco meno di due mesi dopo stessa tragica sorte è toccata a Paolo Borsellino e ai 5 agenti della sua scorta.
Per tutti noi è un dovere ricordare e onorare la memoria di questi due magistrati e di coloro che erano custodi delle loro vite, e che hanno dato la loro vita per difendere lo stato dalla barbarie mafiosa.
Sono eroi del nostro tempo, hanno combattuto in vita per noi, per la democrazia, per la legalità, per il nostro paese e lottano ancora grazie all’eredità di consapevolezza e desiderio di giustizia da cui ogni cittadino degno di questo nome, dovrebbe trarre esempio e stimolo per perseguire la giustizia sociale e la legalità che spesso sembra troppo fragile.
Credo non sia importante solo ricordare questi grandi uomini e donne, magistrati e agenti di polizia: ricordare e basta serve a ben poco.
Il loro ricordo deve essere impulso a continuare a percorrere quella strada che loro avevano spianato e nostro compito è anche quello di raccontare a chi in quei giorni non era ancora nato oppure era troppo piccolo per capire e comprendere il perché da paladini della giustizia sono poi diventati vittimi ed eroi, e come qualcuno in tempo immemore aveva detto, di solito gli eroi sono tutti morti.
Quelle stragi del 1992 non devono essere viste solo come stragi fini a loro stesse, ma sono un chiaro e violento attacco allo stato, alle istituzioni, quindi a tutti noi cittadini: la malavita organizzata ha lanciato la sua cruenta sfida agli italiani.
Il 23 maggio e il 19 luglio devono rappresentare date di riflessione: molti di noi ricorderanno lo sdegno, la rabbia e l’indignazione di quei giorni.
Purtroppo l’emergenza Covid-19 impedisce di riproporre alcune importanti iniziative, come ad esempio le navi della legalità, tutte le celebrazioni avverranno sui social e con il supporto delle televisioni e delle radio.
In questo momento di emergenza sanitaria è comunque fondamentale non dimenticarci dell’importanza del continuare, anzi intensificare la lotta contro tutte le mafie, perché proprio in momenti di difficoltà sociale la delinquenza organizzata trova nuovi motivi per radicarsi sul territorio, approfittando, come sciacalli, di questa emergenza sanitaria e sociale.
Se i giudici Falcone e Borsellino fossero ancora qui fra noi, certamente sarebbero stati una volta di più in prima linea per contrastare il nemico.
Giovanni Falcone è stato un magistrato italiano che, insieme all’amico d’infanzia Paolo Borsellino, ha dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia. Uniti nei giochi da bambini, uniti nella scelta di vita.
Entrambi senza mai fare un passo all’indietro di fronte al rischio quanto mai concreto di poter essere colpiti da coloro che stavano combattendo.
Falcone è stato fra i primi a identificare Cosa Nostra come la più grande minaccia allo stato, un’organizzazione che aveva costituito una sorta di stato parallelo, uno stato ombra.
Introdusse una nuova metodologia per seguire le indagini e per porre fine a scarcerazioni e assoluzioni per insufficenza di prova che fino a prima di lui erano la caratteristica saliente nei processi di mafia.
Queste innovazioni unitamente all’introduzione delle analisi finanziarie per i beni dei sospettati e degli indagati, sancì nel tempo la sua condanna a morte e quella dell’amico Paolo.
Ricordiamo che Paolo Borsellino, non appena fu informato del feroce attentato di Capaci, ancora stravolto dal dolore per la perdita dell’amico, della moglie e degli uomini della scorta, commentò dicendo che il prossimo sarebbe stato lui, e così fu, ma non per questo indietreggiò. Consapevole del suo destino, si preoccupò solamente di tutelare la sua famiglia.
Non spetta a noi raccontare la vita di Giovanni Falcone, la faranno quasi tutti i notiziari online, i quotidiani e i Tg televisivi: il nostro obiettivo è quello di ricordare questi eroi dei nostri tempi, non dobbiamo dimenticare il loro sacrificio e dobbiamo tramandare il loro impegno di uomini e di magistrati a chi verrà dopo di noi: loro fanno parte di quella schiera di persone per bene, uomini di legge, magistrati … italiani veri, che hanno sacrificato la loro vita per vedere trionfare la legalità.
Dovrebbero essere ricordati nella stessa maniera di coloro che hanno combattuto nella lotta di liberazione, di coloro che subito hanno scritto la nostra Costituzione e di tutti quelli che hanno dato la vita per i loro ideali di giustizia e di legalità, come il Generale Dalla Chiesa, Aldo Moro e inserisco tra loro anche Peppino Impastato.
Quel 23 maggio 1992, giorno della strage di Capaci, non dobbiamo ricordarlo come il giorno della fine di Giovanni Falcone, e quindi come il giorno di una sconfitta della gente per bene, ma deve essere un giorno che deve ricordato non come la fine di una speranza, quella di sconfiggere le mafie e l’illegalità, ma dobbiamo ricordarlo come un giorno dove la speranza si fortifica, si rigenera, si moltiplica: una speranza che tutti quanti dobbiamo condividere, perché più saremo a condividere questa speranza più diventerà grande e rumorosa, tanto rumorosa da trasformarsi in realtà.
L'Astrolabio di Swanbook
Redazione: Desenzano del Garda
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