Giulietta dirà addio al suo Romeo?
Arte e Cultura > Viaggiando e curiosando con Aurora Cantini
27/05/2020
Giulietta dirà addio al suo
Romeo?
La celebre statua è
lentamente consumata dalle troppe carezze
Visitare Verona e perderci il cuore. Una
città che pare uno scrigno gettato sull’Adige, palpabile come un velo da sposa.
Già lo si avverte, questo senso di commovente rimpianto, varcando la Porta
medievale, e poi attraversando le timide vie, gentili al passante, fino
all’Arena. Evocano antichi timbri i portali massicci e austeri, La Turandot, L’Aida, tumulto di passioni
e tragiche voci di dolore.
Ma ciò che più di tutto avvince e fa palpitare l’anima è la casa di Giulietta.
Il passo si affretta, lo sguardo è catturato dal balcone e il cuore sospira.
Perché, aldilà della documentazione storica sull’effettiva esistenza della fanciulla, è Amore che genera i pensieri, e anche l’animo più restio rimane indissolubilmente avvinto da questa intramontabile tragedia.
Una storia che tutti
sognano nella vita, essere amati in un modo che supera il tempo, donare il
proprio mondo più segreto ad un’altra persona, parte di noi, metà completa, e
sapere con certezza che nemmeno la Morte riuscirà a separare questo Amore.
Giulietta è lì, quasi ad attenderci, vestita
di lucente bellezza, in quel cortile chiuso come uno scrigno, in attesa
Oggi gli esperti
lanciano un grido d’allarme: provata da milioni di carezze, la filigrana che riveste
la statua è bucata in vari punti, come piccole ferite che lacerano la sua
delicata pelle ramata.
“Giulietta” venne
realizzata nel 1972 su modello e ispirazione del maestro Nereo Costantini e
portata a compimento da Novello Finotti a causa della morte dell’ideatore.
Ogni anno questa
silenziosa ragazzina entra nel cuore di oltre due milioni di turisti e
affezionati, che la accarezzano e la sfiorano come segno di un autentico
messaggio romantico universale e unico al mondo.
Non ci sono
speranze che possa guarire. Siamo destinati a perdere per sempre questa
splendida scultura che è il simbolo dell’amore.
L’unica strada proponibile è “portarla
via da lì”, sostituendola con una copia.
Sarebbe per sempre preclusa al cuore,
chiusa allo sguardo, allontanata dai passi.
E quel balcone così
amato, di pietra e lacrime sigillato, sarà vuoto, questa volta per davvero, per
sempre.
Dalla Luna tonda e pallida piangerà Romeo la sua Giulietta, piccola perla
su cui è calato un sudario, trasformando le sue lacrime in una lettera d’amore.
QUESTO MIO SCRIGNO DI LACRIME E RAME
(“Dai lombi fatali di due nemici toglie
vita una coppia d'amanti avventurati,
nati sotto maligna stella…”
In dedica alla statua di Giulietta,
cortile Casa Capuleti, Verona)
Mio unico ed eterno Amore,
sono qui, sperduta nel mio vestito di
rame, accarezzata e sfiorata da mille mani, da mille sguardi, da mille baci.
Sono qui, sola e fragile, in questo
cortile chiuso, esposta al vento e al silenzio, senza voce, senza lacrime, senza
calore.
L’unica consolazione alla mia eterna inquietudine è poter scorgere ogni
giorno una nuova alba sulla nostra città, Verona, il cuore della
mia vita.
Appena i raggi luminosi sfiorano l’azzurro pare uno scrigno gettato
sull’Adige, palpabile come un velo da sposa.
E subito avverto un doloroso
rimpianto, un senso di desolante inverno, che seppur addolcito dalla primavera,
non abbandona i suoi artigli conficcati fin nel profondo del mio guscio
immobile.
Poi
a poco a poco un brusio si avvicina e il mio cortile si riempie di voci e di
presenze.
Avverto fin dal piedistallo le vibrazioni dei passi che si
affrettano, lo sguardo subito catturato dal balcone e il cuore che sospira.
Amore genera i pensieri e anche l’animo più restio rimane indissolubilmente avvinto
da questa intramontabile fragilità che pare sgretolarsi dalle pietre antiche.
Li sento parlottare quasi sottovoce, i turisti che si accalcano intorno a me, quasi mi invidiano perché la mia è una
storia che tutti sognano nella vita, essere amati in un modo che supera il
tempo, donare il proprio mondo più segreto ad un'altra persona, parte di noi,
metà completa, e sapere con certezza che nemmeno la Morte riuscirà a
separare questo Amore.
In
questo piccolo cortiletto, in questo angolo quasi nascosto, la mia delicata
figurina in bronzo accoglie i visitatori, un talismano contro la solitudine dei
giorni, una consolazione alla triste quotidianità: per tutti io sono la gioia, la fiaba a cielo aperto, la
luce dell’adolescenza mai sfiorita, l’ebbrezza dell’eternità.
La gente che mi passa intorno mi avvolge
di carezze, mi sfiora pronunciando il mio nome e mi chiama, in un vincolo tenace
e caparbio, un messaggio universale e unico al mondo.
Ma io non ho voce se non quella del mio
cuore intrappolato in questa filigrana di rame. Rimango silenziosa e muta
davanti alle lacrime e ai pensieri dei milioni di amanti che tracciano il mio
contorno come cercando uno spiraglio di speranza alla loro solitudine.
Questa malinconia avanza sul filo
dell’orizzonte, artiglia anima e cuore di chi, spaesato, arranca lungo i viali.
Intorno solo silenzio, schegge di acciaio e cemento svettanti fino al cielo,
nubi basse come corona al dolore dell’uomo.
Porta il grigio di sere solitarie,
il gelo delle finestre vuote sul mondo.
La solitudine si stende sui prati senza
voci di bimbi, né giochi, né tramonto rosso.
Ma è quando su Verona scende il
crepuscolo che la mia anima eleva la sua canzone più struggente, vera e
sincera.
Anch’io sono sola.
All'imbrunire il mio cuore sente tutto il peso di
questa esistenza immobile, portata con fatica tra errori e disillusioni. Sente
tutto il peso del silenzio, vissuto come anelito e fame di vita. Sente tutto il
peso della mortalità, scacciata in un angolo del cuore nello stordire dei
rumori del giorno.
Piango le lacrime di ruggine che
scendono lungo le mie giunture, urlando parole mai dette, graffiando ferite mai
rimarginate.
La mia anima è intrappolata in un guscio
vuoto e non riesco a liberarmi, sono senza forza e senza storia, come una
pagina mai scritta.
Dove sei, mio unico ed eterno Amore?
Dove è il tuo corpo scolpito e agile come un felino, che mi abbracciava stretta
davanti alla luna?
Dove è l’azzurro dei tuoi occhi, che rischiarava la notte e
si riempiva di stelle liquide, quando mi sorridevi?
La
tua voce è per sempre preclusa al cuore, chiusa allo sguardo, allontanata dai
passi.
Sopra di me vuoto è il balcone a cui mi
appoggiavo sognando la Luna, chiamando il tuo nome, desiderando il tuo cuore.
E
poco più in là stormiscono ancora le fronde perenni e immote, testimoni del
nostro esistere, dolci guardiani del buio.
Ai rami possenti ti aggrappavi per
giungere a me e mi portavi via, oltre la cinta del cuore, oltre le parole
decise, oltre le alture dolci della nostra Verona.
Tu hai rinnegato il tuo nome e io sono
divenuta per te creta su cui incidere il cuore, intreccio di mani e di labbra,
voluttuose danze tra i capelli distesi come un manto sulla mia vergine pelle,
che solo tu hai accarezzato e ricamato di sensi.
Ti chiamo, mio unico ed eterno Amore, ti
invoco, mio solo ed unico nome, ti cerco, mio instancabile desiderio.
Ma tu sei
svanito in un ultimo singhiozzo, frantumato dal destino che inesorabile ha
portato pianto e lamento.
Mi vedo riflessa nelle pozzanghere della
pioggia di settembre, il viso liscio e delicato, eterno nella giovinezza, il
corpo flessuoso quasi pronto a scappare via, avvolto da una lamina di bronzo,
senza colore né vita, illuminato solo dal riverbero del sole del meriggio,
imbiancato dal candore della prima neve, reso d’argento dalla pioggia leggera
di primavera.
Sono soffusa di nebbia, come un’evanescente apparizione.
Ma un tempo io ero viva, palpitante e
indomita, resa eterna dalla passione, resa forte dal tuo corpo accanto al mio.
Ti ho amato nell’alba della nuova
primavera, seguendo le impronte lasciate nella neve, vestendomi di foglie
all’avanzare dell’autunno.
Ti ho amato nello scrosciare della pioggia sui
tetti, nella fiamma accesa del camino, nel buio fondo del bosco d’inverno.
Non
ero sola nel mio vagabondare insonne, inanellavo sogni e pagine bianche
attaccate alle ultime stelle e ti raccontavo i miei passi e il mio respiro che
diventava filigrana di rame.
Seduta su un vecchio tronco del giardino
mi lasciavo cullare dal vento, consolatore perenne del mio vivere oltre il
silenzio.
Osservavo l’intreccio di rami sopra di me, i sentieri nascosti che si
perdevano nelle penombre del sottobosco, le fascine di legna accatastate
accanto ai tronchi e mi sentivo inondare di linfa, mi scioglievo nel muschio e
nell’edera, attendevo il tuo ritorno come antica vestale a guardia del tempo.
Con gli occhi stanchi per le innumerevoli notti insonni ritrovavo storie e
ricordi mentre il bosco, con il suo silenzioso abbraccio, scaldava le mie ossa,
ammorbidiva il mio sguardo, decorava le mie notti.
Dietro la boscaglia i
giovani virgulti tessevano le loro trame, come fiabe antiche di nostalgia,
mentre io mi aprivo come un fiore notturno al caldo respiro dei tuoi baci.
E pensavo a quanto ti ho amato, e quanto
ti amerò.
Perché dietro la prima alba, sotto la
nuova neve, nelle venature dell’ultima
foglia, troverò sempre il tuo volto che mi sorride eterno bambino, e la pioggia
che solca le mie giunture sarà il mio scrigno di lacrime per te, la favilla
rossa diventerà il mio cuore ardente, e il ruvido tronco a cui mi appoggerò
sarà il tuo corpo solido e sicuro, l’incavo dei suoi rami il tuo abbraccio
gentile.
Mio tenero e unico Amore, non ti ho
perso ancora, e mai ti perderò, sarò pergamena di storie d’amanti e tu balcone
su cui adagiarmi.
Il mio sudario di pietra e lacrime
sigillato sarà il tuo nome pronunciato dall’eco dell’Adige.
Mio
unico ed eterno Amore, cercami ancora nei passi di chi ama, accarezzami ancora
nella dolcezza di chi spera, cullami ancora nel tepore di chi sogna, tienimi
stretta al tuo cuore, e io vivrò per sempre nel respiro di ogni amante. Sarò
eternamente viva, di te e per te.
Dalla
Luna tonda e pallida chiamerai tu Romeo la tua Giulietta, piccola perla
incastonata nel rame. E io ti risponderò.
Tua
Giulietta.