Fiore Caterina Silvia: Incubatoio
Arte e Cultura > Libri
Incubatoio
Caterina Silvia Fiore
Noir psico-surreale
SBE Edizioni
ISBN 978-88-944208-7-6
Prezzo di copertina € 10,00
Ogni
libro ha una sua storia, una storia che può essere parte della storia del suo
autore, oppure più nascere da riflessioni sulla condizione umana, sulla vita e
anche sulla morte, oppure può essere un racconto che non ha nulla a che vedere
con quanto scritto qui sopra.
“Incubatoio”
è un libro molto particolare che può rientrare in tutto quello che abbiamo
appena scritto, oppure potrebbe non rientrarci per niente.
L’autrice,
Caterina Silvia Fiore, è riuscita a imbastire un racconto fantastico, che in
fondo fantastico non è.
“Incubatoio” è un
interessantissimo romanzo che possiamo classificare come un noir psico-surreale: un romanzo breve che non potete evitare di
leggere.
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La vicenda si svolge quasi per intero all'interno di una corriera che riporta i suoi passeggeri a casa, dopo una lunga giornata di lavoro.
Ma quel viaggio che doveva essere un semplissimo rientro a casa in realtà diventa tutt'altro e peccato che il consueto percorso subisca, una sera, una deviazione insolita.
Su
quella corriera i destini dei viaggiatori si fondono in un denominatore
comune, ognuno di loro dovrà fare i conti con la propria coscienza ma,
soprattutto, con un autista fuori dall'ordinario.
Un
racconto suggestivo, evocativo, aperto a varie letture, un percorso
dentro e fuori di sé, una condanna, una pena, ma quella corriera
suggella dentro e contemporaneamente trapassa oltre, dando a ogni
passeggero l'etichetta per giungere, e, forse, per ripartire.
La prefazione del libro è opera di Enrico Ratti, che con grande sensibilità ha così fotografato il gioiello realizzato da Caterina Silvia Fiore, affermata scrittrice e poetessa, molte sue opere sono state premiate in importanti premi letterari e ed è anche organizzatrice di prestigiosi premi di poesia, sui quali un prestigioso premio intirolato alla memoria di Antonia Pozzi, poetessa scomparsa in giovanissima età.
"Una nebbia pesante come acciaio divideva
quel luogo dal resto del mondo". Così inizia questo lungo racconto di
Caterina Silvia Fiore.
E allora rendiamo omaggio al sangue freddo con
cui la scrittrice ha messo in scena la fascinazione di una macchina infernale -
una corriera che diventa luogo del doppio, della duplicazione e della
similitudine di vita - lanciata verso il gorgo dell'Averno.
Caterina
Silvia Fiore con una scrittura frenetica e folle (una scrittura che aggiunge e
raschia via al tempo stesso), ci introduce a bordo di un ambiente da incubo. Un
ambiente costruito su un gioco di specchi in cui il riflesso speculare dei finestrini
della corriera duplica sagome ingannevoli di persone ignare di compiere un
viaggio straordinario.
Ebbene, mentre la corriera e la sua ciurma di
dannati procedono nel loro cammino, Caterina Silvia Fiore, come una suprema
chiaroveggente, inizia a narrare frammenti di vita di questi singolari
personaggi. E dalle sue carte enigmatiche emergono vite segnate dalla
maledizione e dal peccato.
Ma, a ben guardare, a bordo di questa corriera
da incubo c'è vita diffusa, compatta, sporca della materia di chi ancora non si
è arreso, di chi non si dà pace e non crede alla fine.
Quanto al nostro mondo fatto di sacra carne e
di pie illusioni, lei, l'estatica, la vittoriosa chiaroveggente che ha scritto
questo racconto, se l'è sistemato sotto la ciccia squarquoiata della sua
sintassi micidiale. Infatti il testo di Caterina Silvia Fiore non spedisce il
lettore nel goethiano regno della poesia celeste, ma a quel paese!
Succede
così che nello spazio claustrale di questa scrittura penitenziale e ossificata,
non vengono a sfracellarsi solo i suoi personaggi con tendenze criminali e
perverse, ma anche il linguaggio stesso, la funzione di nominazione, straziata
e annichilita dalla mannaia implacabile di una scrittura sovversiva e estrema.
Mai cedendo alla sbornia descrittiva, a un
pernicioso alcool distillato da tutti i seguaci abbrutiti dalla letteratura
dell'Ottocento e del Novecento, Caterina Silvia Fiore mai si attarda sugli
oggetti del supplizio, mai coccola l'inerte posizione di un corpo maciullato,
ma è abile a riprendersi dal pericolo del descrittivismo sentimentalista con
scarti sintattici accompagnati dalla tenuta di un ritmo narrativo sincopato e
straziante. E il lettore rimane lì, sbigottito e centrifugato, tra le onde
telluriche di una scrittura stridula, acre, dissonante, scordata, che
incessantemente continua a ghermirlo e a frantumarlo tra le affilate mascelle
di una poesia irridente e solenne.