Incontro con Lucia Lo Bianco
Rubriche > Cronaca, notizie e iterviste
Mancano pochi giorni all’uscita di un
libro molto interessante, una raccolta di racconti edita da Swanbook che avrà
il titolo di “Le donne lo dicono” dell’affermata poetessa palermitana Lucia
Lo Bianco.
In questi racconti, dove la sua
Palermo, unitamente ai luoghi che hanno lasciato segni e ricordi importanti
nella sua vita sono presenti nell’alternarsi delle vicende narrate.
Un libro che potrebbe essere una
specie di calendario delle emozioni, infatti sono 12 i racconti di “Le donne lo
dicono”, dodici racconti che hanno come protagoniste le donne, il loro mondo,
tra sofferenze e gioie, tra violenze e sprazzi di vita, donne giovani, donne
madri, donne professioniste e anche donne bambine.
Lucia Lo Bianco è artista molto
affermata e conosciuta nei salotti letterari, questo grazie al suo grande
talento poetico, Un Talento che l’ha portata a raggiungere numerosissimi
riconoscimenti e a vincere molti concorsi di poesia e a pubblicare diverse
sillogi poetiche.
Ma oggi con lei parleremo di questo
suo primo passo nel mondo della narrativa: “Le donne lo dicono” è la sua prima
pubblicazione di narrativa pura, racconti. Ogni racconto ha una sua storia,
storie dai contenuti intensi e spesso emozionanti e commoventi.
Quindi non ci resta che leggere cosa
ci racconterà di sé e della sua creatività artistica Lucia.
Sostieni L'Astrolabio Online
Dona con PayPal
un piccolo contributo
per noi è un grande tesoro
ci aiuterai a fare informazione
un piccolo contributo
per noi è un grande tesoro
ci aiuterai a fare informazione
Chi è Lucia Lo Bianco ora?
Lucia Lo Bianco è una donna cresciuta che vive le
sue giornate dense di impegni cercando di indossare sempre il sorriso,
nonostante le diverse problematiche e i molti momenti difficili. E’ una moglie,
una madre, una docente che ama seguirei suoi cari e la crescita dei suoi
studenti ma che riesce anche a ritagliarsi degli spazi per vivere e comunicare
emozioni e stati d’animo. E’ soprattutto una persona che ama la bellezza e la
ritrova nelle cose di ogni giorno e nella sua terra a cui è molto legata.
E chi era la bimba Lucia e cosa sognava?
Sembrerà scontato ma la bimba Lucia sognava di scrivere e inventare storie, come forse fanno tanti bambini. Il fanciullino presente in ognuno di noi è poi rimasto sopito finché non ha deciso di venir fuori in età matura, quando la capacità di riflessione e introspezione raggiungono una profondità dettata dall’esperienza.
Sono riemerse così le fantasie che erano state momentaneamente riposte. Si è trattato di un momento di grazia.
Palermitana di nascita, ma la sua vita non è contrassegnata solo da Palermo e dalla Sicilia. Altri luoghi sono stati importanti per lei, come è riuscita ad annodarli tra loro?
Ritengo di aver avuto la fortuna di fare molte e diversificate esperienze. Scegliere di andar via dal proprio ambiente per lavorare in un’altra regione non è facile. Devi ambientarti e adattarti a un contesto diverso ma è una enorme opportunità per crescere. Nel mio caso vivere 11 anni in Lombardia subito dopo la mia laurea mi ha aiutato ad inserirmi nel mondo del lavoro formandomi professionalmente e per questo sarò sempre grata a questa regione. Ritornare in Sicilia, a Palermo, è stata una decisione ben ponderata e, nonostante le difficoltà iniziali per riambientarmi, a distanza di anni sono consapevole di aver operato per il bene della mia città, della mia famiglia e della mia persona. In me vivono tante piccole coscienze ed è difficile separarle ma credetemi quando dico che ho lasciato una parte del mio cuore in tutti i luoghi in cui ho vissuto e, sebbene la mia anima siciliana domini sempre, la stessa si incontra e scontra in continuazione con altre ugualmente importanti identità.
Lauree importanti,
insegnamento, famiglia, passione per la poesia, running… Come si riesce a fare
incastrare alla perfezione tutti questi tasselli che formano il mosaico del suo
mondo?
Non è facile e spesso me lo chiedo anch’io.
Sicuramente passione e forte determinazione sono il motore di tutto e per
questo riesco a ritagliarmi degli spazi che poi costituiscono la spinta ad
andare avanti e continuare. Forse il segreto è riuscire a non separare corpo e
mente. Correre come nel mio caso le lunghe distanze non sarebbe possibile senza
l’apporto della “testa”. Così mi capita di elaborare pensieri mentre corro o
guido per recarmi a scuola o ancora mentre traffico in casa. Ho portato a
termine le mie venti maratone tenendo la mente occupata e cominciando subito a
pianificare cosa avrei scritto dopo quell’avventura. Sono venute fuori delle
belle narrazioni, poesie e storie. E’ un bel mosaico quello che appare alla
fine anche se è stato molto faticoso riuscire ad inserire tutti i tasselli.
Purtroppo a volte si dorme davvero poco.
E ancora di più, quanto è stato
complicato, è complicato, mantenere vivi, vitali, questi punti cardine della
sua vita?
Penso che due siano gli ostacoli principali con cui
mi trovo a “cozzare” ogni giorno: Il tempo a disposizione, che in modo
illusorio pretendiamo di riuscire a dominare, e il trascorrere degli anni che
ci porta a credere d’essere ancora giovani e vitali perché la nostra testa è rimasta
indietro. Capita a volte, però che la stanchezza abbia il sopravvento e siamo
così costretti a rallentare.
Cosa le ha tolto e cosa può
averle portato di nuovo questo anno e mezzo vissuto come se non fosse vissuto?
Il periodo di quarantena forzato mi ha privato degli
abbracci e dell’affetto di familiari e amici lontani. Nessuno potrà restituirci
questi mesi di socialità perduta, le chiacchere e le risate delle serate
trascorse con le persone a cui vogliamo bene, i baci di una sorella o una figlia
che non riesci ad incontrare per un tempo prolungato. In qualità di docente
posso dire di aver perso momenti di incontro importanti con alunni e colleghi
in attività extracurricolari e di essermi spesso sentita inadeguata in un ruolo
a distanza forzato per quanto indispensabile. Eppure sono state proprio queste
assenze a far scaturire la necessità di parlare e scrivere per esorcizzare le
paure e le angosce più nascoste. Comporre versi o immaginare storie, che
avevano lo stato di emergenza sanitaria come principale fonte d’ispirazione, è
stato per me profondamente liberatorio e a volte addirittura catartico.
Veniamo alla sua poesia, il suo nome circola molto in ambienti letterari, peraltro lei stessa è molto attiva ed anche promotrice e fondatrice di iniziative artistiche di rilievo. Da dove nasce tutta questa energia? Solo passione? Necessità? O cos’altro?
La passione è certamente alla base di tutto quello che faccio. Non riuscirei a gestire il mio impegno e coinvolgimento nelle varie attività culturali senza amore e passione. Scrivere è però anche una necessità, è vero, una sorta di imperativo categorico al quale non possiamo sottrarci e anche se potrebbe sembrare presuntuoso parlare di “ispirazione” secondo un modello romantico sento che più si scrive più questa forma di comunicazione diventa una vera e propria “dipendenza”, senza però gli effetti collaterali. Mi capita di andare a dormire dopo lunghe giornate di lavoro e di sentire le parole che danzano dentro di me e qualche volta sono costretta ad alzarmi e buttar giù su un pezzo di carta quelle immagini sparse che hanno fatto capolino, perché come diceva P.B.Shelley potrebbe trattarsi solo di un “Fleeting moment”, un momento fuggevole e temporaneo da bloccare. Ecco perché ogni pezzo di carta, copertina interna di libro che possiedo è piena di note e appunti. All’inizio emergono pochi versi che posso completare subito, più spesso dopo qualche giorno o a volte deve trascorrere molto più tempo, quando la mente è completamente libera da ogni pensiero. Questa è la genesi delle mie poesie, frutto di un lavoro che potrebbe sembrare caotico e frammentario ma che alla fine, quasi per miracolo, ha un suo filo conduttore.
Parlare dei suoi successi in
ambito poetico appare quasi banale, leggendo il suo palmares di premi e
onorificenze possiamo trovare la risposta a tutte le domande che potremmo
porre. Ora sta per debuttare come autrice di racconti. Che cosa è “scrivere”
per lei? Da dove nasce il desiderio di prendere in una mano una penna e mettere
insieme parole, frasi e versi?
Ho sempre
sentito la necessità di scrivere, sin da piccola. All’inizio si trattava di
storielle romantiche che immaginavo trasformate in soggetti cinematografici.
Crescendo la vita e le sue priorità mi hanno travolto ritardando soltanto quell’esplosione
di sensazioni e voglia di comunicare che avrebbe caratterizzato quella che a
ragione posso chiamare “maturità”. Le gioie e i dolori incontrati lungo il
percorso hanno rafforzato ed arricchito le pagine del mio diario: la scrittura
in fondo è uno dei mezzi di comunicazione più antichi. Inchiostro e passione
quindi rappresentano il tentativo di lasciare qualcosa dietro, la presunzione
che solo così si possa essere ricordati vincendo il tempo.
“Le donne lo dicono” è un libro
a cui lei tiene molto: cosa rappresenta per lei questa raccolta di racconti?
“Le donne lo dicono” è la mia prima opera di
narrativa nata in silenzio e in punta di piedi. Amo molto il racconto come
genere letterario che è abbastanza diverso dal romanzo in quanto cerca di affrontare
solo una “fetta” di vita. sono storie nate di getto, inseguendo un’impressione
o un’idea e ho scelto spesso un finale abbastanza aperto nell’illusione di
coinvolgere maggiormente il lettore in quel piccolo angolo di mondo che avevo
scelto di presentare.
Come è nato questo libro?
Molte storie sono nate proprio nel periodo del
“lockdown” grazie ad una maggiore capacità di osservazione ed una più intensa
introspezione nei confronti del reale.
Chi scrive non può prescindere dalla
realtà che lo circonda ma deve inevitabilmente scontrarsi con la concretezza e
la durezza delle immagini che gli si parano dinanzi. In questo modo soltanto i
pensieri prendono forma e le parole si distribuiscono su una pagina
inizialmente vuota.
Nelle sue poesie, ma ancora di
più nei 12 racconti di “Le donne lo dicono” il tema della solidarietà sociale
in genere, ma ancora di più la donna, la condizione femminile, la
disuguaglianza e non ultime perché meno importanti le violenze e il
femminicidio sono sempre presenti. Dettagli che certamente non sfuggiranno a
coloro che leggeranno il libro sono la delicatezza, le sensibilità, la
partecipazione con cui lei ha raccontato temi anche decisamente “sgradevoli”. A
volte si ha l’impressione che in alcune delle protagoniste dei vari racconti ci
sia sempre la presenza di Lucia. Quanto si è sentita coinvolta nel raccontare
le vicende di queste donne?
Le mie ultime poesie trattano tematiche sociali,
problemi che ci coinvolgono come l’immigrazione o le stragi che hanno
caratterizzato la storia recente e presente come la mia poesia sulla strage di
Capaci. La mia attenzione però, come voi giustamente sottolineate, è catturata
dalla condizione femminile, i femminicidi, le violenze domestiche nella
consapevolezza di dover dar voce a chi non ne ha e nell’illusione di scuotere
le coscienze. Lucia è l’io narrante che vive e soffre con le protagoniste,
piange le loro lacrime e gioisce dei brevi attimi di spensieratezza che animano
la loro vita. Solo la finzione narrativa dà l’opportunità di vivere ciò che
fortunatamente non abbiamo vissuto, come nel caso delle violenze, o ciò che al
contrario avremmo desiderato sperimentare, ad esempio un momentaneo desiderio
di leggerezza ed evasione.
“Le donne lo dicono” sarà un
episodio isolato nel campa della narrativa o possiamo aspettarci dell’altro
dopo questo primo passo?
Non sarà certamente un episodio isolato dato che sto
già lavorando al mio primo romanzo nato in un momento difficile attraversato
quest’anno e che vede sempre le donne in qualità di osservatore privilegiato
della realtà quotidiana. Un’altra storia importante sta quindi per arrivare.
Lei è docente scolastica, cosa
ha sconvolto nel mondo della scuola questa interminabile situazione di
emergenza sanitaria? Come è stata vissuta di studenti e insegnanti?
La scuola come molti altri settori è stata capovolta
dall’emergenza sanitaria e, a distanza di quasi un anno e mezzo, sono
consapevole di quanto il corpo docente fosse impreparato nei confronti di un
tale fenomeno. Non mi riferisco solo alle modeste competenze informatiche di
cui noi insegnanti eravamo in possesso, ma anche alla preparazione psicologica
e alla dimensione emotiva che la pandemia ha causato. L’effetto immediato è
stata una sensazione di profonda solitudine, l’impossibilità di scambiare
opinioni sugli studenti, l’assenza del confronto quotidiano che fa crescere la
comunità scolastica. Molti ne sono usciti fortificati ma al contempo sono
emerse parecchie fragilità, dei vuoti talvolta insanabili.
Siamo ancora assediati
dell’emergenza sanitaria, per quanto finalmente si sta cercando di
intraprendere un cammino che possa portarci al ritorno verso una quasi-normalità.
Cosa lascerà, nel tempo in tutti noi questo lungo periodo di mancanza di
strette di mano e abbracci?
Mi riferisco a tutti quanti,
insegnanti e studenti, medici e malati, genitori e nonni, figli.
Il ritorno alla quasi-normalità che stiamo
sperimentando in questi giorni non riuscirà a mio avviso a cancellare
completamente il vissuto di questi mesi, la paura della malattia, la distanza
dagli affetti più cari e la perdita di amici e conoscenti. Resterà qualcosa nel
ricordo di molti di noi, come la devastazione dopo una guerra, nonostante la
necessità di ricostruire quello che il Covid-19 è riuscito a distruggere.
E Lucia cosa si aspetta dal suo
domani?
Spero di non perdere mai la voglia di raccontare e
di mettermi in gioco riuscendo a vivere molte vite. Mi auguro di continuare ad
affrontare la vita con forza e determinazione ma anche con la leggerezza
necessaria per combattere paure ed angosce che potranno emergere con il
trascorrere degli anni.
Per finire la cosa che
chiediamo e tutti i nostri intervistati: si definisca in tre solo aggettivi.
Forte,
testarda
e sorridente.