Peggy Guggenheim: l'ultima dogaressa (di A. Armio)
Arte e Cultura > Personaggi
Chi è Peggy Guggenheim?
Una vita vissuta da mecenate a proteggere e tutelare artisti emergenti che senza lei non avrebbero avuto voce.
Discendente
di una grnade famiglia dai principi filantropici che molto hanno
lasciato all'umanità con la Fondazione Guggenheim e i musei che la
fondazione gestisce.
«Si
è sempre dato per scontato che Venezia sia la città ideale per una
luna di miele ma non solo, è un grave errore: vivere a Venezia, o
semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta
più posto per altro.»
(Peggy Guggenheim)
Nata a New York nel 1898, Marguerite
Guggenheim, poi diventata Peggy, è stata una straordinaria collezionista d'arte e mecenate
statunitense di origini
ebraiche. Una donna che ha amato follemente l’Italia e in modo
particolare Venezia. Ha cessato di vivere il 23 dicembre 1979 a Camposampiero
(PD). Nasce in una famiglia di origini ebraiche proveniente dalla Svizzera.
La famiglia ha costruito le
sue fortune con l’estrazione dell’argento e del rame e poi con l’industria
dell’acciaio.
Figlia di Benjamin Guggenheim, ma soprattutto nipote di Solomon R. Guggenheim, che fu ideatore dell’omonima fondazione per la
creazione di musei in giro per il mondo. Peggy Guggenheim raccolse una nota
collezione d'arte moderna in Europa
e in America
e, dopo che si trasferì nel 1949 a Venezia,
la espose in un museo sul Canal Grande
che porta il suo nome e che divenne poi una delle attrazioni più visitate della
città.
La Fondazione Guggenheim ha
musei e collezioni disseminate in ogni angolo del mondo, a partire dal
Guggenheim Museum di New York, proseguendo con quello Bilbao, nei paesi Baschi,
per finire con il museo di Cà Venier a Venezia, dimora acquistata da Peggy.
La nostra Marguerite (diventerà
Peggy solo verso i vent’anni) è la sorella di mezzo di tre sorelle, Benita è la
maggiore mentre Hazel la più piccola. Sono cresciute in una famiglia di chiaro
stampo imprenditoriale, i Seligman da parte di madre e i Guggenheim da parte di
padre. Per avere un’idea della filosofia di famiglia vorrei citare un detto di nonno
James Seligman: «Vendere qualcosa che hai a chi ne ha bisogno non è fare
affari. Vendere qualcosa che non hai a chi non ne ha bisogno, quello è fare
affari!»
Peggy nasce il 26 agosto in un
appartamento dell’Hotel Majestic, dove vivono provvisoriamente i suoi genitori,
in attesa che venga ultimato il rinnovamento di un palazzo nei pressi del Central
Park.
A lei quella dimora era sempre
apparsa immensa e spettrale, dove alle tre sorelle era riservato il quarto
piano, dal quale partiva una ripida scala che portava alle stanze della
servitù. A Peggy resterà sempre un senso di orrore per il contrasto tra il
lusso dei padroni e la relativa miseria dei servi.
L’ambiente famigliare di
stampo ebraico è estremamente protettivo e tutelante nei confronti della
società borghese americana.
La famiglia Guggenheim si
distingua nel grande interesse e nel contribuire alle arti e alla cultura, favorendo
iniziative filantropiche. Questo spiega la sostanziale predestinazione di Peggy
a trovare una sua personale soluzione ai problemi esistenziali proprio nel
mecenatismo artistico, soluzione che arriva nel mezzo della sua vita, nel 1938,
l’anno dopo la creazione della Solomon R. Guggenheim Foundation,
l’iniziativa parallela e più nota del solido zio paterno Solomon, magnate delle
miniere, nonché titolare del più importante museo americano di arte moderna,
realizzato con l’aiuto di Hilla von
Rebay.
Della Peggy bambina non ci è
dato sapere se avesse molte amicizie, certamente anche perché la famiglia, piuttosto
che mandare le tre figlie a scuola, preferisce riservare a loro un’educazione
privata e quindi trovoa una istitutrice, tale Mrs. Hartman, che le accompagna spessissimo
in giro per l’Europa e il mondo, in visita a musei e alla scoperta delle grandi
culture contemporanee e del passato.
Le sorelle vivono decisamente
in maniera differente dalle loro coetanee, non conoscono il cinema, conoscono
benissimo Wagner, ma ignorano il jazz, popolarissimo nel primo ventennio del
Novecento. Adorano il padre, l’elegante Benjamin, che è spesso lontano dalla
famiglia, apparentemente per viaggi di lavoro. Proprio nel corso di una di
questa lunghe assenze per “lavoro”, nel viaggio di ritorno, in compagnia della
sua ultima amante (che si salva), muore nella tragedia del Titanic. La morte
del padre lascia la famiglia in seri problemi finanziari, ma la solidarietà
degli zii Guggenheim e, più tardi, una consistente eredità dal patriarca James,
consolidano le ricchezze di famiglia, per quanto Peggy si senta una parente
povera.
Quel naufragio è rimasto nella
storia come un disastro, ma è una tragedia anche per Peggy che non metabolizza per
molto tempo la perdita del padre, e di questo scrisse “in un certo senso non mi
sono mai ripresa, visto che da allora sono sempre stata in cerca d’un padre”.
Forse anche per questo, Peggy vuole
sottrarsi al destino di giovane ragazza ebrea di origini germaniche. In questo
periodo post-vittoriano non riceve educazione sessuale dalla famiglia, ma si
interessa attivamente presso la servitù per apprendere il possibile di questo
argomento a lei sconosciuto, in particolar modo in occasione del parto
clandestino di una cameriera, che uccide il suo bimbo illegittimo
strangolandolo con il cordone ombelicale.
Da questo triste episodio impara che con il denaro le azioni possono non avere conseguenze: la cameriera viene infatti dichiarata pazza dal medico di famiglia dei Guggenheim per evitarle la prigione.
A sedici anni è indecisa sulla strada da intraprendere. Non frequenta un college, preferisce avere insegnanti privati di storia, economia, lingua italiana.
Una di queste, Lucile Kohn, le
insegna economia e scienze politiche, ma non solo, essendo un’accanita
sostenitrice del presidente Woodrow Wilson, la tiene informata sull’attualità
politica.
La prima guerra mondiale non
lascia in Peggy particolari sofferenze, a parte un episodio che fa sorgere in
lei un complesso d’inferiorità, quando, insieme alle sorelle, di vide rifiutare
il soggiorno in un albergo del Vermont, in quanto “israelite”.
Il vecchio palazzo newyorkese non
lo sente come casa sua, come non si sente a casa sua in America,
Questa sensazione accresce quando
sarà ancora costretta a vivere negli Stati Uniti durante la seconda guerra
mondiale.
Nel 1919, all’età di ventun
anni può entrare finalmente in possesso dell’eredità del nonno: 450.000
dollari, una somma immensa se rapportata ai giorni nostri, anche se è sono
briciole se confrontata alle immense fortune degli zii, indubbiamente più “prudenti”
del defunto papà.
Con questa piccola, grande
fortuna è in grado di rendersi indipendente e quindi di cambiare la direzione
della sua vita.
E comincia dalla gente: sceglie
chi frequentare e cosa fare, in un crescendo quasi caotico.
Percorre in lungo e in largo
gli Stati Uniti, lavora per un dentista e poi in una libreria di un suo cugino,
dove quando i commessi sono a pranzo vende lei stessa i libri, acquistandone moltissimi
lei stessa.
Si appassiona di letteratura moderna, che legge
avidamente, come per recuperare il tempo perso in passato e sentirsi in
sintonia con il mondo. In questo periodo incontra il suo primo uomo, Laurence
Vail.
Ha ventitré anni e soffre
quasi come un incubo la sua verginità, tanto da farle dire: “Tutti i miei
corteggiatori erano disposti a sposarmi, ma erano così rispettabili che non mi
avrebbero mai violentata”.
Invece Vail è l’uomo giusto,
ed è lui che le risolve questo “problema”: Peggy gli chiede di essere amata in
tutte le posizioni studiate in una sua raccolta di immagini e foto degli
affreschi di Pompei.
Ma è anche grazie a Laurence
che Peggy conosce numerosi scrittori e artisti americani ed europei. Presto fa
amicizia con Djuna Barnes, la futura autrice di Nightwood,
e comincia a sostenerla economicamente.
Nel 1922, alla fine di lunghi
tira e molla, Laurence e Peggy si sposano avranno due figli.
Intanto l’amicizia con Djuna
Barnes segna in pratica l’inizio della storia pubblica di Peggy, che è la
storia di tanti che non avrebbero avuto voce senza di lei.
Un progressivo evolversi di
infinite interazioni umane, un enorme calderone di coltura dove, anche grazie al
suo denaro, tutto sembra fruttificarsi e maturare nelle maniere di più
disparate.
Nel 1928 finanzia l’anarchica
Emma Goldman, che così può pubblicare le sue poderose memorie, Living My Life, grazie all’aiuto gratuito
di Emily Holmes Coleman, scrittrice e poetessa americana che sarà
amica vera di Peggy per la vita e non per il suo denaro, e questo nonostante
per un certo periodo fossero innamorate dello stesso uomo, John Holms.
Nel 1932/33 in Inghilterra, una
piccola colonia di modernisti ospita e sostiene Djuna Barnes che sta scrivendo Nightwood. Anche Nightwood vedrà la luce col valido
aiuto di Emily Holmes Coleman. Proprio in questo periodo Peggy vive il periodo
migliore con John Holms, forse l’uomo più amato da lei.
Nel 1938 Peggy inaugura a
Londra la Galleria Guggenheim Jeune, seppur osteggiata moltissimo dal direttore
della Tate Gallery, Mr. Manson che rifiuta di considerare artistiche le
creazioni di Brancusi, Laurens, Arp, Duchamp-Villon, Pevsner e altri. Per
questa vincenda sembrerebbe che Mr. Manson oltre alla causa davanti alla Camera
dei Comuni perdesse pure il posto.
Per Peggy questa è l’epoca
dell’amore di Peggy con Yves Tanguy.
Nel 1942 apre a New York la
galleria Art of This Century, dove raccoglie
la sua collezione di opere surrealiste, cubiste e astratte portate dal Vecchio
Continente. Questa diventa un luogo di fecondazione incrociata tra gli artisti
dei due continenti, il nuovo mondo delle avanguardie, frequentata da autori
emergenti, a cominciare dall’amatissimo Pollock.
Il 1948 rappresenta l’anno della rinascita della Biennale di Venezia, che dopo la tragedia bellica riapre. Con la sua collezione salva la situazione, rappresentando anche gli Stati Uniti, che non riescono a far giungere in tempo i quadri da esporre nel padiglione nazionale.
Peggy ritorna definitivamente in Europa per viverci e portando con sé l’indecisione su cosa fare della sua inestimabile collezione portata in Italia per la Biennale del 1948, Qui si concretizza la possibilità di acquistare il Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande, che diventerà il suo museo e che sarà la sua vera e ultima casa.
Palazzo Venier, inoltre, che ha un grande giardino indispensabile per i suoi cani, è situato di fronte alla Casetta Rossa di dannunziana memoria e al palazzo della Prefettura.
Questo palazzo e la sua straordinaria collocazione nel cuore di una delle più belle città del mondo diventa il vero centro della vita di Peggy, in una Venezia non convenzionale, esattamente come era lei.
Il 23 dicembre 1979, all’età
di 81 anni, Peggy Guggenheim muore sola, all’ospedale di Camposampiero, presso
Padova, dove è ricoverata per le conseguenze di una frattura al piede.
Il figlio Sindbad, dopo la
morte della madre, si occupò di mettere l’enorme quantità di opere d’arte
conservate nella cantina del Palazzo Venier, minacciate da piogge torrenziali. La
figlia Pegeen, invece, è morta dodici anni prima, forse suicida, dopo una vita
passata a combattere la depressione.
Peggy Guggenheim aveva già
donato Palazzo Venier dei Leoni e la intera
collezione alla Fondazione
Solomon Guggenheim dopo che la stessa collezione, proposta in
donazione al Comune di Venezia, fu rifiutata.
Le
sue ceneri si trovano nell'angolo del giardino di Palazzo Venier dei
Leoni dove Peggy aveva seppellito anche i suoi numerosi
amati cani. La Collezione Peggy Guggenheim di Venezia è uno dei più
importanti musei
italiani e mondiali di arte contemporanea della prima metà
del XX secolo:
abbraccia opere che vanno dal Cubismo
al Surrealismo e all'Espressionismo.
Qualche curiosità su di lei:
Peggy Guggenheim nella sua casa veneziana aveva un telefono a gettoni, che usava con molta parsimonia.
A Lei è stata dedicata nel 2008 a Venezia la mostra “Poi arrivò Peggy” nel 60º anniversario dell'arrivo della collezionista nella città veneta.
La vita di Peggy Guggenheim è stata celebrata in una storia Disney, edita nel 2012, su Topolino chiamata "Peggy Duckenheim e le tovaglie astratte" (testi di Roberto Gagnor, disegni di Paolo de Lorenzi).
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