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Incontro con Manuela Corsino

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Incontro con Manuela Corsino
di Aurelio Armio

È da poche settimane nelle librerie il thriller “La culla di Giuda” di Manuela Corsino, scrittrice di Nave (BS).
Manuela è autrice già nota ai lettori avendo già pubblicato diversi romanzi di successo, ma “La culla di Giuda”, edito da Swanbook, rappresenta il primo passo nel mondo affascinante della narrativa noir.
Naturalmente la curiosità dei lettori del nostro magazine online è sempre tanta e chi ci segue non si accontenta di leggere il nome dell’autrice sulla copertina del libro insieme al titolo, vogliono sapere di più. Quindi a questo punto non ci resta che farci raccontare tutto su Manuela Corsino proprio dalla diretta interessata.
Ben trovata Manuela e complimenti per il tuo ultimo lavoro letterario. Ma prima di parlare del libro, vogliamo scoprire qualcosa di Manuela donna, madre e moglie. Vivi a Nave, a due passi da Brescia, ma le tue origini, se non sbaglio, partono dall’altra parte delle Alpi, ricordo bene?

In realtà sono figlia di genitori italiani emigrati in Svizzera per lavoro negli anni ’70. Sono nata e ho vissuto i miei primi anni di vita a Ginevra, anche se mi sento italianissima.
Quando avevo 9 anni i miei genitori, che come tutti gli emigrati pensavano al proprio paese con grande nostalgia, hanno deciso di tornare in Italia e da allora vivo in provincia di Brescia a due passi dalla città.
Oggi sono sposata con Luca e ho due figli maschi.
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La scrittura, i romanzi, facevano parte dei tuoi sogni di bambina e al classico “cosa farò da grande”, o Manuela bimba aveva altro nei suoi desideri?

Mi è sempre piaciuto scrivere, fin da bambina. Ricordo che quando frequentavo la scuola media, avevo un’insegnante di italiano che era talmente entusiasta dei miei temi che quando seppe che mi ero iscritta ad una scuola superiore professionale fece il diavolo a quattro perché i miei genitori cambiassero idea e mi mandassero al liceo. Qui però le mie ambizioni letterarie vennero stroncate sul nascere da un insegnante di italiano che, pensa un po’, si chiamava Sciascia e con la quale non c’era proprio feeling. Potevo scrivere qualunque cosa ma il voto era sempre insufficiente. In quel periodo mi sono talmente demoralizzata che per anni non ho più scritto nulla, se non la lista della spesa.
Come ci sei arrivata ai romanzi e come riesci conciliare il lavoro e lo scrivere con la famiglia?

Nel 2009 casualmente vengo a sapere che la biblioteca del mio paese ha organizzato un concorso letterario.
Perché non provare? mi sono detta. Il mio racconto si intitolava “una suocera urticante” e si classificò al 2° posto. Fu una grande soddisfazione che mi spinse a continuare a scrivere. Da allora ho partecipato a tanti concorsi letterari in tutta Italia, prima con dei racconti e poi, a mano a mano che acquisivo maggior dimestichezza con la scrittura, anche con dei romanzi, come è stato per La culla di Giuda.
Conciliare la scrittura con la famiglia e il lavoro non è facile, ma quando si ha la passione per qualche cosa il tempo lo si trova sempre. L’importante nella vita è avere delle passioni da coltivare.
Dopo diversi romanzi hai dato una svolta al tuo genere letterario, hai scritto un thriller: da dove è nato questo stimolo per affrontare un percorso narrativo diverso?

Sono una persona curiosa che ama mettersi alla prova e ha continuamente bisogno di nuovi stimoli. Ogni volta che riesco in qualcosa di nuovo è una conquista.
E questo vale anche per la scrittura. Non mi piace fossilizzarmi in quello che faccio e sperimentare nuovi generi letterari è uno stimolo senza il quale non potrei continuare a scrivere. Poi, come per tutte le cose, capita che qualcosa riesca bene e qualcos’altro un po’ meno. Credo che l’importante sia riuscire a far tesoro anche delle esperienze meno riuscite. D’altra parte, chi non risica non rosica, non credi?
“La culla di Giuda” rispecchia tutti i canoni del thriller, ma a mio parere c’è dell’altro nelle pagine del libro. Sicuramente la storia è intrisa di violenza e ferocia, ma al suo interno è molto importante anche un altro aspetto: quello dell’amicizia (e poi anche dell’amore). Infatti, al di là di quella che diventa negli anni una spietata caccia all’uomo, è molto importante anche la tua capacità di far risaltare l’amicizia che lega tre dei protagonisti dalla loro adolescenza fino all’età adulta. Quanto è stato difficile conciliare momenti di violenza pura con sentimenti e, se vogliamo, anche passioni amorose?

Non tanto. Dopotutto è la vita che è così. Un arcobaleno di passioni e sentimenti, spesso contrastanti. È bastato osservare e descrivere ciò che vedo ogni giorno intorno a me.
I personaggi del racconto sono davvero molti, tutto sommato oltre ai tre giovani amici da cui parte la storia e al “cattivissimo” della vicenda, vi sono molti altri personaggi che possono essere considerati ugualmente dei protagonisti. Trovo molto interessante la tua capacità di entrare nella psiche di ognuno di loro, evidenziandone le sensibilità, le contraddizioni e le debolezze. Hai affrontato con davvero molta eleganza le problematiche sociali che contraddistinguono la vita nelle periferie, un disagio che nasce dalla povertà e dall’emarginazione. A volte sembra che il vero fulcro della vicenda sia proprio l’evoluzione, nel bene e nel male, del rapporto di quei tre giovani ragazzi e di tutti gli amici che hanno attorno. È un azzardo questo mio commento?

Tanto tempo fa un filosofo tedesco disse “siamo quello che mangiamo” ritenendo che l’alimentazione potesse condizionare non solo il fisico ma anche il carattere di un uomo.
Io penso che questo concetto possa essere applicato anche alla scrittura nel senso che ciò che uno scrittore scrive è il risultato di ciò che ha vissuto, letto e visto nel corso di tutta la sua esistenza.
Il fatto che tu dica che sono riuscita ad entrare nella psiche dei miei personaggi, evidenziandone le sensibilità, le contraddizioni e le debolezze mi fa molto piacere ed è probabilmente il risultato dell’aver lavorato per anni nell’ufficio dei servizi sociali del mio Comune, dove ho avuto modo di confrontarmi con problematiche sociali di ogni genere che mi hanno lasciato la capacità di osservare e ascoltare gli altri e mi hanno resa una persona molto empatica.
Il tuo libro è ambientato tra la periferia di Brescia, la classica periferia delle grandi città e dei quartieri dormitorio, e il lago di Garda, dove non hai perso l’occasione di collocare alcuni fatti della vicenda in luoghi di grande importanza storica e naturalistica. Perché hai scelto queste due ambientazioni così differenti tra loro per far scorrere gli eventi del libro?

La periferia di Brescia di cui parlo nel romanzo è quella del quartiere di San Polo, dove fino a poco tempo fa sorgeva la torre Tintoretto, un casermone popolare di 18 piani per un totale di 190 appartamenti che ho scoperto essere stata demolita giusto un paio d’anni fa nell’ambito di un progetto di riqualificazione del territorio. Questo edificio spiccava ogni volta che passavo da quelle parti e spesso mi sono chiesta come fosse vivere lì dentro. E quando ho iniziato a scrivere La culla di Giuda, mi è venuto naturale collocare i miei personaggi in quel contesto.
Il Lago di Garda invece è entrato a far parte della narrazione a romanzo già avviato. Facevo delle ricerche su internet quando sono incappata nell’isola di Trimelone e nella sua storia che non conoscevo, ma che mi ha subito fatto pensare al luogo adatto per ciò che avevo in mente.
L'isola di Trimelone
L’impressione che si ha leggendo “La culla di Giuda” è quella di un libro scritto prima di tutto di pancia, poi di cuore e per ultimo di testa. Mi spiego: scorrendo il racconto pagina per pagina, ciò che subito coinvolge è il ritmo incalzante degli eventi che sembrano rincorrersi in quello che possiamo definire un vero e proprio moto perpetuo, sembra quasi che tu scriva come se stessi vivendo i fatti che narri. Racconta ai nostri lettori come è stato mettere insieme questa affascinante trama.

Io scrivo di getto, o di pancia, come dici tu. Non ho una trama ben definita in mente. Lascio che sia l’ispirazione del momento a guidarmi. Spesso mi capita di partire dal centro o dal finale di una storia e man mano di aggiungere dei pezzi. A volte, rileggendo, mi accorgo che la storia non mi piace e cestino interi capitoli. Alla fine è la testa a riordinare le varie parti. È come fare un puzzle. All’inizio ci sono pezzi slegati e sparsi qua e là, ma alla fine tutto si incastra nel modo giusto o almeno spero che sia così.
Cosa dobbiamo aspettarci da Manuela Corsino dopo “La culla di Giuda”? Chi avrà la fortuna (spero siano sempre di più i tuoi lettori) di leggere il libro, quando giunge all’agognata conclusione delle indagini può avere l’impressione che ci sia ancora qualcosa in sospeso da scoprire… Un lasciare in sospeso voluto oppure è stato come lasciare una porta aperta per qualcosa di diverso?

L’intenzione, quando ho scritto la culla di Giuda, era quella di dar vita ad un romanzo autoconclusivo. Nella vita però non si sa mai e non escludo in futuro di poter scrivere un seguito che magari abbia come protagonista proprio l’ispettore Andrea Boschi. Vedremo…
Nel frattempo sto lavorando a un altro thriller ambientato in un paesino tra le colline del centro Italia.
Lasciamo da parte la scrittura, Manuela cosa vorrebbe chiedere alla vita per il futuro? Alla sua privata e, perché no, anche in generale.

È difficile rispondere in modo sintetico a questa domanda perché mi rendo conto che sono ancora tantissime le cose che vorrei chiedere alla vita, i sogni da realizzare, i viaggi da fare, i libri da leggere, le storie da scrivere, le cose da imparare. Per  ciò che ho in mente forse non basterebbero 100 vite.
Per finire il classico delle interviste dell’Astrolabio Online: descriviti in tre aggettivi.

Riservata, competitiva e resiliente.
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Redazione: Desenzano del Garda
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