Incontro con Paolo Pasini, neoeletto presidente del Consorzio Valtenesi
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La Valtenesi è un piccolo territorio
della Provincia di Brescia che si distende sul versante bresciano del lago di
Garda, un’area dove si distendono sette comuni. Beh… si sette, come i sette re
o i sette colli di su cui è stata fondata Roma, come i “magnifici sette” o i
“sette samurai” dei film, o il settebello a scopa… girateli come volete, ma
sempre sette rimangono questi comuni che sono: Padenghe del Garda, Moniga del
Garda, Manerba del Garda, Puegnago del Garda, Polpenazze del Garda, Soiano del
Lago e San Felice del Benaco.
Un piccolo territorio che mi piace
definire un micro-ecosistema perché in questo territorio possiamo scoprire un
concentrato di eccellenze vinicole che raramente si possono trovare altrove.
Per quanto non sia solo terra di vini,
anche l’olio contribuisce ad arricchire il forziere di cosa preziose che
nascono in questa terra. Ma la Valtenesi di cui vogliamo parlare oggi è quella
del vino, o meglio oggi vogliamo parlare di qualcosa che è nato proprio per valorizzare
e promuovere al meglio questo piccolo ma ricco territorio: il Consorzio
Valtenesi, ente che raggruppa la maggior parte dei produttori e vignaioli
locali, molti dei quali hanno tradizioni ultrasecolari. Sono due i vini di cui
il Consorzio custodisce gelosamente e che vuole far cresca con la stessa cura
che ha un buon padre per i propri figli: il Groppello e il Chiaretto, per il
quale forse potremmo anticipare un progetto importante, se la persona che
andremo a intervistare avrà piacere di accennarcelo.
In realtà il Consorzio ha anche un
terzo figlioccio, se così possiamo dire, ma questo figlioccio vive fuori dai
confini della Valtenesi, è un figlioccio dal colore diverso dai due figli della
Valtenesi.
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Ma per capire meglio cosa rappresenti
per il territorio la presenza e l’attività del Consorzio Valtenesi abbiamo
bisogno di parlare con chi conosca bene tutte le cose: chi meglio del neoletto
alla carica di Presidente dell’Ente, cioè il Dott. Paolo Pasini, della cantina
Pasini San Giovanni.
Presidente Pasini, innanzitutto
complimenti per l’incarico che le è stato conferito da pochi giorni e grazie
per avere accettato il nostro invito per questa breve intervista. Lei è fresco
di nomina a presidente del Consorzio Valtenesi. Cosa spinge e quali sono le
motivazioni per cui un vignaiolo si proponga per guidare un ente così
importante per il territorio?
Grazie a voi, in primis, per aver
scelto di scoprire un po’ di più sulla Valtènesi e sui suoi vini. Per entrare
subito nel vivo della risposta, ogni vignaiolo è figlio del territorio in cui
coltiva le vigne e quando produce vini che portano sull’etichetta il nome della
zona di produzione ha la responsabilità di parlare sia per sé sia per tutti gli
attori di quel territorio. Da qui ad impegnarsi per gestire il consorzio che
promuove con forza il vino Valtènesi, insieme ad altri vignaioli, il passo è
breve.
Il consorzio ha una lunga
storia alle sue spalle, ma, se non sbaglio solo nel 2012 ha assunto la
denominazione attuale. Lei ai tempi della nascita del consorzio era ancora un
ragazzino e poi un giovane, ma indubbiamente si ricorderà dei primi vagiti del
consorzio. Quali sono i suoi ricordi di allora?
Non è semplice, ma provo a raccontare
per sommi capi la storia del Consorzio e della nostra area produttiva.
Tralasciando il pur importantissimo e
profondo passato antecedente alla nascita della doc (denominazione di origine
controllata), il Consorzio nella sua forma embrionale nasce insieme alla doc
Riviera del Garda nel 1967, per poi prendere una denominazione specifica poche
stagioni dopo. Nel corso degli anni la doc, per scelte che è inutile
evidenziare qui, cambia alcuni dettagli del suo nome, fino a recuperare una
delle più antiche denominazioni di area produttiva, ovvero Valtènesi, che oggi
rappresenta il cuore produttivo della Riviera del Garda Classico, che si spinge
ben oltre i confini amministrativi dei sette comuni della Valtènesi.
Sebbene il Consorzio Valtenesi
sia ancora “giovane”, di strada ne ha fatta. Sono stati raggiunti gli obiettivi
che si erano prefissati e quanta strada ancora è da percorrere e per arrivare
dove?
La direzione è chiara: Valtènesi è la
terra, Groppello è la sua uva autoctona, che attraverso un metodo di
coltivazione della vigna e di vinificazione dell’uva che affondano le radici
nell’Ottocento dà vita ad un vino, rosa e rosso, che porta il nome della terra
stessa. Potremo considerare raggiunto l’obbiettivo quando questa triangolazione
virtuosa sarà ben chiara ai consumatori di vino più attenti.
I vini “immagine” della
Valtenesi sono il Groppello, quello storico e il “Chiaretto”, che sta
diventando sempre un vino di grandissima importanza e grandissimo impatto sul
mercato. Ci presenti brevemente questi vostre due perle. E magari anche di quel
vino bianco che vanta un ristretto nugolo di appassionati produttori.
Senza volermi ripetere, da parecchi
anni il Consorzio ha scelto di dare al vino il nome del territorio, più che
della tipologia; quindi il vino rosa e il vino rosso si chiamano Valtènesi,
entrambi prodotti da uva Groppello, talvolta al 100%, talvolta con le uve di
complemento tradizionali, che sono Barbera, Marzemino e Sangiovese.
Il Valtènesi è spesso fine, elegante,
armonico e sapido, sia esso rosa o rosso. La vinificazione in purezza evidenzia
forse maggiormente l’essenzialità, la vinificazione in uvaggio o blend porta
un’espressione più variegata. In termine di apporto delle singole uve, Il
Groppello porta finezza e eleganza, la Barbera apporta vitalità, il Marzemino
dolcezza e rotondità, il Sangiovese consistenza. Il bianco così raro, il San
Martino della Battaglia, sostenuto dall’uva Tuchì, mostra carnosità e sapidità,
sempre con l’eleganza dei vini bresciani del Garda.
In un nostro breve ma davvero
interessante incontro nella sua cantina, mi ha accennato ad un importante
progetto proprio a riguardo del Chiaretto. Può dirci qualcosa ho al momento è
ancora tabù?
Il nome di tradizione del rosa di
Valtènesi, il Chiaretto appunto, lascerà sempre più spazio all’identificazione
del nome Valtènesi con la tipologia rosé, rendendo di fatto facoltativo
l’utilizzo della menzione sopracitata. Valtènesi è un luogo che contiene
un’idea di vino, antica come la fine del XX secolo ma contemporanea come la
finezza con cui si esprime, che non ha bisogno di aggiungere alcuna parola al
nome stesso del territorio.
Il territorio gardesano, la
Valtenesi, sono un comprensorio importante, dove il turismo non è rappresentato
solo da un importante comparto alberghiero e turistico e dalla bellezza del
lago. Un ruolo importantissimo lo ricoprono le tante aziende come la vostra o i
frantoi e altre produzioni d’eccellenza nell’agroalimentare che sono
altrettanto una fonte di interesse e curiosità. Enti come il Consorzio di cui è
presidente e, a cascata, tutte le aziende che ne fanno parte, che ruolo possono
interpretare per la crescita turistica e culturale del Garda bresciano?
Il Consorzio aprirà entro l’estate la
“Casa del Vino”, a Puegnago, presso la sede consortile. Un luogo preposto
all’informazione e di quei turisti (e non solo) che vorranno saperne di più
sulla produzione agroalimentare della Valtènesi e in genere adatto alla
diffusione della tradizione viticola presso un pubblico locale e
internazionale.
I suoi propositi e obiettivi da
“uomo guida” del Consorzio per i prossimi anni quali sono? Che impronta
vorrebbe dare all’ente e quale segno vorrebbe lasciare?
Lavoro nel direttivo del Consorzio da
molti anni e so che la strada che sceglie un Consorzio è sempre quella
concertata tra tutti i vignaioli che mettono la loro energia a disposizione di
tutta la filiera produttiva. L’unione di tutto il comparto produttivo e
l’affermazione nel mondo dei vini di alta qualità del nome Valtènesi è il mio
sogno e quello di tutti i componenti del cda del Consorzio.
Paolo Pasini al centro tra le cugine Sara e Laura, e in piedi il cugino Luca
Parliamo un po’ della sua
azienda, Pasini San Giovanni. L’azienda ha origine lontane, tutto è cominciato
nel 1940 da un’osteria, poi è nata la cantina nel 1958, ma sul Garda ci siete
arrivati dopo. Una storia che immagino lei abbia conosciuto in buona parte per
i racconti dei nonni e dei genitori. Cosa rappresenta per lei essere “la
continuazione” di una storia di vita di imprenditoria contadina e agricola così
importante?
“Era nella natura delle cose che fosse
così”, si potrebbe dire. Ereditare un’inclinazione dell’animo è una questione
di fortuna, di dna perfino. Non ho mai pensato di fare altro e, in principio
insieme a mio cugino Luca e da qualche tempo anche con le cugine Sara e Laura,
sentiamo di dare continuità al sogno del nonno e dei genitori reinterpretandolo
con le nostre intuizioni e aspirazioni.
Ora Pasini San Giovanni, nella
sua struttura, è lontana anni luce da quella cantina del 1958. Siete diventati
un’azienda all’avanguardia sia per la qualità della produzione che per
l’ingresso di innovazioni tecnologiche necessarie per restare al passo coi
tempi. Ma lo spirito iniziale, i principi che vi hanno visti nascere e la
filosofia dell’azienda quanto è cambiata, se è cambiata?
Il nonno era spinto senza dubbio dallo
spirito di sopravvivenza e ha vissuto il boom economico, i genitori si sono
dedicati ad una iniziale espansione dell’azienda, nel pieno degli anni ottanta
e novanta, noi abbiamo avuto la possibilità di “approfondire” la conoscenza
della nostra terra, dell’agronomia che ci sostiene e della tecnica enologica
che ci aiuta. Abbiamo lasciato spazio alla sperimentazione e definito una via
di rispetto e salvaguardia ambientali che non erano immaginabili nelle
generazioni precedenti. Siamo la generazione della cura del dettaglio, del
rispetto dell’ambiente e del vino fortemente identitario.