Cottarelli Mario: Parliamo di parolacce senza dire parolacce
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Quando si sente il nome Cottarelli diventa quasi naturale pensare a Carlo Cottarelli, economista di grande valore ed esperienza, ma oggi, pur restando in famiglia, non parliamo di Carlo, ma di suo fratello minore Mario che, per quanto meno famoso del fratello maggiore, è anch’egli un personaggio dalle peculiarità non trascurabili.
Mario è un 63enne nato ovviamente a Cremona, città di origine della famiglia, ma ora risiede a Brescia con la famiglia.
Il suo percorso di vita e professionale si è sviluppato davvero in maniera variegata: una laurea in biologia, ma poi il cammino ha imboccato altre strade passata attraverso il quotidiano ‘La Provincia’ di Cremona come correttore di bozze per il quotidiano, a questa attività ha affiancato anche quella di musicista.Per di più parliamo di un musicista non di poco conto, Mario è un polistrumentista e compositore di grande livello.
Nella sua carriera artistica ha collaborato con artisti di primo piano, cito fra tutti Ivana Spagna e Claudio Simonetti, il grande musicista e figlio dell’indimenticato Enrico.
Alcuni suoi brani dance negli anni ’80 sono stati pubblicati non solo in Italia ma anche all’estero, in Europa e anche in America Latina.
A partire dagli anni ’90 ha composto brani per orchestre da ballo, finché tra il 2007 e il 2011 ha inciso due CD di rock progressive che gli sono valsi l’inserimento nel libro “Rock Progressivo Italiano 1980/2013”.
Ma dopo questa sintetica presentazione di un uomo che ben possiamo definire poliedrico, ora dobbiamo parlare di Mario Cottarelli scrittore e della sua opera prima: “Parliamo di parolacce senza dire parolacce”, edito da Pascal Editrice e lo facciamo iniziando con una breve intervista.
La sua è una vita normale, se vogliamo intenderla come normale la vita dei ragazzi del ’56 che hanno la loro giovinezza tra i fermenti del post ’68, le contraddizioni sociali di quei tempi, i fermenti giovanili sospinti anche molto dai fermenti musicali del rock duro o di quello progressivo. Come ricorda quel periodo?
Non è stato uno dei periodi migliori della mia vita, se ci riferiamo agli anni 70. La mia adolescenza è stata piuttosto inquieta, ma questo mi portò ad essere molto creativo. Il nonno analfabeta di Nino Manfredi diceva: “Ricordati che tutto nasce dal dolore; dal benessere non nasce nulla”. Così in quel periodo per me inquieto iniziai a comporre musica, tanto che i cd di progressive rock che ho inciso nel 2007 e 2011 non sono altro che una rielaborazione di mie composizioni degli anni 70-80 che all’epoca non ero riuscito a realizzare su disco per vari motivi. I primi anni Settanta comunque furono in generale un periodo di straordinaria creatività musicale: compravi un disco e ti chiedevi cosa potesse contenere; molto spesso era un’autentica sorpresa.
PARLIAMO DI PAROLACCE SENZA DIRE PAROLACCE
sinossi
Il
turpiloquio come convenzione sociale, il turpiloquio come agente
inquinante, il turpiloquio come specchio della società che dovremmo
rompere per vivere più sereni, il turpiloquio complice di una
rivoluzione sessuale solo parziale e ingombrante martello pneumatico di
cui ci dovremmo liberare per realizzare una liberazione sessuale
completa, il turpiloquio come fonte energetica di un circolo vizioso che
ci attanaglia, il turpiloquio come lavaggio del cervello continuo e
come nuvola di aggressività che ci avvolge quotidianamente, il
turpiloquio come ostacolo all’armonia interiore e della società. E’
questa la tematica del libro “Parliamo di parolacce senza dire
parolacce”. Senza alcun atteggiamento perbenistico, Mario Cottarelli,
laureato in biologia e con alle spalle importanti esperienze musicali in
qualità di compositore, sviscera aspetti più o meno trascurati del
dilagare, della scurrilità verbale e cerca di dimostrare che opporsi ad
essa non significa essere retrogradi e conformisti: combattere il
linguaggio triviale può addirittura rivelarsi avanguardistico; un mondo
in cui ogni cosa sia chiamata col suo nome anziché con nomignoli
dispregiativi o allusivi (come avviene per il sesso) è auspicabile se
vogliamo recuperare il giusto rapporto con la sessualità, rapporto
rovinato per secoli da una cultura repressiva e al tempo stesso
generatrice di vocaboli fuorvianti che non attribuiscono al mondo
dell’eros la sua vera dimensione.
In
questo saggio viene trattata tra l’altro la problematica del linguaggio
sessista di tipo scurrile, la cui eliminazione è ritenuta dall’autore
fondamentale per il raggiungimento di un’autentica parità a tutti i
livelli tra uomo e donna. Viene altresì sottolineato un vuoto pedagogico
esistente riguardo al tema del turpiloquio e una sottovalutazione del
problema da parte del mondo della psicologia. Imparare a conoscere il
sesso attraverso una terminologia inappropriata è, secondo l’autore, uno
dei fattori che, nel corso della crescita, causano ansietà,
perversioni, manie, sensi di colpa; in sostanza ci fanno vivere in modo
nevrotico la sessualità.
Il
motivo per cui questo saggio dovrebbe essere letto è innanzitutto
l’attualità dell’argomento trattato, ma ancor di più la novità di alcune
idee che si contrappongono alla posizione giustificatoria del fenomeno
di gran parte degli studiosi, che tendono a dare importanza al fattore
‘sfogo’ del parlare ‘sporco’ non tenendo sufficientemente conto degli
effetti collaterali che esso può determinare.
Il libro si può acquistare su ibs.it o può essere richiesto direttamente a Pascal Editrice
Prezzo di copertina € 12,00
ISBN 9788876261350
Come è arrivato alla musica, e in
seguito a collaborazioni prestigiose?
Iniziai
suonando la batteria da autodidatta, nel 1970. Inizialmente fu lo strumento che
mi affascinò maggiormente, ma ben presto nacque in me il desiderio di creare
dei brani musicali; così iniziai a dedicarmi anche alla chitarra nel 1972.
Appena imparai i primi due accordi, li utilizzai subito per comporre la mia
prima canzone, alla quale ne seguirono molte altre, man mano che acquisivo
nuove conoscenze. Dal 1974 presi lezioni di organo elettronico e di armonia e
le mie composizioni si fecero più complesse.
Il primo disco, in qualità proprio
di compositore, arrivò però solo nel 1984, grazie alla nascita di uno studio di
registrazione a Cremona. Mi inserii in quel periodo nell’ambiente della musica
da discoteca italiana, ora chiamata “Italo disco”. Lo studio cremonese era di
tanto in tanto frequentato da Ivana Spagna; così, poco prima che esplodesse il
suo successo di cantante solista, Ivana partecipò in veste di corista
all’incisione di due mie canzoni, nel 1984 e 1985. La collaborazione con
Claudio Simonetti avvenne invece nel 1987, quando la mia canzone “Love is my
mania”, di cui avevo scritto musica parole e un primo arrangiamento, gli fu affidata
dall’etichetta Full Time di Milano per la realizzazione in studio.
Claudio
cambiò un po’ l’arrangiamento; per questo motivo firmammo insieme il brano. Fu
però una collaborazione a distanza: la sua sala d’incisione era a Roma e così
non ebbi mai modo di incontrarlo.
Strana commedia (2011)
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Prodigiosa macchina (2007)
Ora è una parentesi che ha
completamente archiviato quella musicale?
La musica è
stata per me molto più che una parentesi: ha occupato una buona parte della mia
vita e mi ha dato molte soddisfazioni. Dal punto di vista compositivo l’ho
sospesa da alcuni anni; attualmente suono con alcuni miei amici per puro hobby,
ma non escludo prima o poi di tornare a fare musica in modo creativo e
professionale.
Perché si è incamminato nella
narrativa arrivando a questo suo primo libro?
Beh,
nonostante qualcuno abbia definito il mio libro un saggio romanzato, non credo
si possa parlare di narrativa, ma appunto di un saggio, nel quale esprimo il
mio pensiero riguardo al dilagare del linguaggio scurrile integrandolo con
alcuni miei ricordi, con l’accenno a piccoli episodi della mia vita. Sono
arrivato a scrivere questo libro perché fin da ragazzo ho sempre trovato
anomalo tutto questo uso di parolacce nel quale siamo immersi quotidianamente,
ma soltanto all’inizio del terzo millennio mi sono dato delle risposte precise alle
domande che mi ponevo sull’argomento. Ho ritenuto che queste risposte fossero
importanti e almeno in parte innovative, quindi degne di essere comunicate agli
altri attraverso la scrittura. Poi ho rimandato la cosa per diversi anni perché
ero impegnato con altre cose, ma in pratica posso dire che ho sentito come
necessaria la scrittura di questo libro, che ritengo abbia vere finalità
sociali.
Cosa significa per lei
“Parliamo di parolacce senza dire parolacce”?
E’ una nuova
avventura: lo è stato durante la scrittura, nella quale ho vissuto emozioni
positive simili a quelle che provo quando creo un brano musicale. Lo è tuttora
nel lungo lavoro di promozione, fatto di interviste e di presentazioni dal vivo,
purtroppo interrotte a causa della drammatica emergenza del Coronavirus. Questa
attività di promozione mi ha fatto conoscere aspetti della mia personalità che
non conoscevo: ho imparato un po’ a fare l’oratore e mi sono reso conto inoltre
che nelle mie presentazioni ho una buona capacità di convincere le persone
della validità delle mie idee, forse anche perché si tratta di idee giuste, basate
sulla logica. A parte ciò per me è sempre importante avere degli obiettivi da
raggiungere, delle nuove sfide da intraprendere. Con questa opera letteraria
sto cercando di spargere i primi semi di una rivoluzione culturale (che secondo
me prima o poi dovrà avvenire) nella quale il linguaggio sia protagonista e con
cui ci si renda conto che il turpiloquio è una forma di inquinamento come tutte
le altre; perciò va combattuto. Il mio atteggiamento tuttavia non è
perbenistico: non sono un castigatore di costumi sessuali, come si potrebbe
pensare in base a deduzioni convenzionali. Anzi, credo che l’eliminazione delle
parolacce porterebbe l’essere umano occidentale a vivere più felicemente la
sessualità, portando a termine quella rivoluzione sessuale iniziata attorno al
’68 ma partita con il piede sbagliato.
Pur non essendo quello che può
essere definito un addetto ai lavori, lei affronta nel libro tematiche che
molto si addentrano al sociale e quasi al filosofico. Da dove nasce questa sua
capacità di osservare a fondo le abitudini della gente?
Non sono mai
stato un tipo molto loquace e, si sa, chi parla poco ha la tendenza ad
osservare, a guardarsi attorno, a riflettere. Non a caso tra i miei ricordi
spesso ci sono piccoli particolari, apparentemente insignificanti, che alla
maggioranza delle persone sfuggono, ma che evidentemente per me hanno un
significato. Oltre a questo sono particolarmente colpito dai comportamenti che
vengono adottati dalle persone per convenienza, anche se spesso si tratta di
scelte dell’inconscio. Nel mio libro sostengo che il turpiloquio è una
manifestazione di autentico conformismo: la maggioranza delle persone lo adotta
a partire dall’adolescenza – oggigiorno già dalla preadolescenza – per
uniformarsi alle regole del branco, ma credo che solo pochissimi siano coloro che
lo scelgono per propria natura. Le parolacce non fanno parte del nostro Dna:
sono una sovrastruttura culturale, ma una sovrastruttura malata, che finisce
per danneggiarci. Tant’è vero che ci sono culture all’interno delle quali
sostanzialmente non esistono vere parolacce: i cinesi, ad esempio, si insultano
dicendo “testa di melone”.
Come vorrebbe si collocasse il
suo libro nel mondo letterario?
E’ un libro
che si muove nel mondo della piccola editoria: non ha quindi la visibilità di
un prodotto della grande industria libraria. E’ forse impossibile perciò
raggiungere il livello di successo degli scrittori di primo piano, ma pazientemente,
come una laboriosa formichina, sto facendo tutto il possibile per far conoscere
il mio scritto e continuerò a farlo finché ci sarà qualcuno disposto ad
ascoltare il mio messaggio. Sarebbe bello che, una volta che si verificasse
davvero la rivoluzione culturale di cui sopra, chissà tra quanti anni, il mio
libro venisse considerato una sorta di ‘cult’, un precursore della rivoluzione
stessa. Ma questo, al momento, è solo un sogno.