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Intevista a Caterina Silvia Fiore

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Caterina  Silvia Fiore, milanese di nascita ma con radici siciliane. Scrittrice,  poetessa, personaggio di spicco nella promozione culturale e artistica  non solo in Milano e Lombardia, la sua fama è assolutamente di livello  nazionale.
Nasce  da una sua idea il Premio Internazionale “Per troppa vita che ho nel  sangue” dedicato alla poetessa Antonia Pozzi, scomparsa tragicamente in  giovanissima età.
Il suo palmares è ricchissimo di premi e onorificenze di grande prestigio, ma sarà lei parlarcene nel corso dell’intervista.
Chi è Caterina Silvia Fiore?
A volte me lo domando anch’io, sicuramente sono   una donna piena di sfaccettature che sorprendono anche me, non facile da comprendere (chi mi conosce capirà queste mie parole).

Lei è molto attiva nel mondo della cultura, dell’arte e della letteratura. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti di prestigio in ambito letterario. Quali sono quelli che ritiene più importanti?
Inizio col precisare che tutti i riconoscimenti per me sono fonte di gioia e soddisfazione, certamente alcuni concorsi sono più prestigiosi di altri, come il Premio Internazionale di poesia e narrativa ALDA MERINI, Il Premio Internazionale STELLINA, PREMIO CITTA’ DI RESCALDINA, PREMIO SIRMIONE LA ROCCA SCALIGERA ma sono talmente tanti i premi vinti che non riesco ad elencarli tutti, comunque ognuno di loro ha una sua storia e per ognuno di loro c’è un vissuto che ricorderò sempre.
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E’ anche una prestigiosa promotrice e ideatrice di concorsi letterari. Fra i tanti quello che spicca di più è il Premio intitolato alla poetessa Antonia Pozzi: “Per troppa vita che ho nel sangue!”. Che cosa le lega a questo concorso?

Ho ideato questo premio nel 2016 perché spinta dal grande amore verso la scrittura e la vita di questa grande Poetessa, provo, leggendo le sue poesie, uno stesso suo sentire, una grande affinità emotiva.
Antonia Pozzi, pur essendo una delle voci poetiche femminili più rappresentative del primo novecento italiano, ha concluso la sua vita a soli 26 anni tragicamente e non ha mai avuto la possibilità di vedere pubblicati i suoi scritti mentre era in vita, ostacolata dal padre e, nel mondo letterario, dai suoi colleghi, che in quel particolare momento storico erano orientati verso temi più concreti e realistici.
Lei scrive, narrativa e poesia indifferentemente, ha anche pubblicato diversi libri. Quali sono quelli che la rappresentano di più?
Tutti, poiché sono rappresentativi delle mie sfaccettature di cui parlavo sopra e ognuno di loro è testimonianza dei cambiamenti in me e nella mia scrittura.

C’è stato un momento in cui ha scoperto o capito che doveva scrivere? Quando è stato, come è stato vissuto?
Non sono nata col fuoco sacro della scrittura, anche se è sempre stato latente in me il desiderio di poter esprimere i miei stati d’animo e la fantasia attraverso parole scritte. In realtà esiste un momento ben preciso che ha fatto scaturire in me il bisogno di scrivere ed è stato conseguente alla morte dei miei genitori, non sapevo come metabolizzare la perdita, il distacco, l’abbandono.
A suo parere qual è lo stato di salute della poesia e della narrativa oggi?
Sappiamo molto bene che in Italia tutti scrivono ma pochi leggono, soprattutto parlando di poesia la questione è ancora più sconfortante, poiché quello che vediamo oggi, cioè la poca voglia di cimentarsi in letture poetiche, nasce probabilmente dalla metodologia didattica della nostra scuola, che non riesce a trasmettere con sufficienza ai giovani l’amore verso quest’arte che tutto è, tranne che noiosa.
Cos’è per lei la poesia?
Per me la poesia è come una macchina fotografica, è lo strumento che serve a fissare quei momenti emotivi che altrimenti andrebbero persi perché irripetibili.

E la narrativa?
La narrativa è lo sprigionarsi della propria creatività attingendo al mondo esteriore, lascia, rispetto alla poesia che è più intimistica, la narrativa deve seguire schemi più precisi, deve esserci una storia, un principio e una fine, la poesia invece, per me, permette una maggiore libertà di scrittura.

Quali sono i maestri, gli scrittori e i poeti da cui imparare?
Si può imparare da tutti, ovviamente ci sono i grandi maestri dai quali attingere e qui possono essere diversi per ognuno di noi, l’importante è crearsi un proprio stile che ci contraddistingue e che non è detto che arrivi subito o che arrivi.
Che cosa occorre per diventare uno scrittore?
Una penna e un foglio di carta. Scherzo, ovviamente, non bastano. Non saprei, sinceramente, a volte credo che sia un dono, qualcosa che abbiamo dentro, una sensibilità che cerca di farsi strada attraverso la parola scritta.

A suo avviso perché siamo più un paese di poeti e scrittori che non di lettori?
Perché non siamo stati educati alla lettura sin da piccoli.
Scuola, librai, media, editori, autori, istituzioni: di chi è la responsabilità se si legge così poco?
La famiglia sicuramente, parte tutto da lì.

Cosa occorrerebbe fare per appassionare maggiormente alla lettura?
Creare degli angoli di lettura nelle librerie, ad esempio, per i bambini, dove poter insegnare l’amore per l’ascolto delle storie, cosa questa che porterebbe a creare interesse per la lettura.

Ho lasciato per ultimo l’argomento covid-19: cosa può lasciare di negativo o di positivo alla letteratura?
In questo periodo di covid sono nate moltissime antologie contenenti racconti e poesie legate alla quarantena, molte davvero interessanti, credo che l’isolamento abbia incentivato molto l’ispirazione e l’introspezione.
Per chiudere l’intervista, ci regali un suo verso amato.

Tratto da “LA GABBIA IMMAGINARIA”
mi coprii gli occhi con le mani
avrei potuto darti il sogno
avrei potuto metterti sul ramo
invece non facevo altro che battere
le mie dita sulla gabbia
perché chi porta dentro di sé una prigione
non può regalare il vento a chi implora aiuto.
L'Astrolabio di Swanbook
Redazione: Desenzano del Garda
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