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Cinzia Bogazzi

Rubriche > Premi Territorio & Cultura: le candidate
24/11/2022

Intervista a Cinzia Bogazzi
di Aurelio Armio

In occasione di “Primavera è donna 2023: Maddalena, le altre e la metamorfosi”, il concorso artistico e letterario che prevede al suo interno anche l’assegnazione dei “Premi Territorio & Cultura”, che verranno assegnati a donne che si saranno distinte nelle rispettive attività artistiche, professionali e sociali. abbiamo pensato di aprire una rubrica di interviste, riservata alle candidate per l’assegnazione dei premi.
Colei che abbiamo designato per tagliare il nastro immaginario per inaugurare la nuova rubrica è la Dott.ssa Cinzia Bogazzi, direttrice di diversi Centri Commerciali nel bresciano, ma non solo.
L’incontro con Cinzia Bogazzi, intendo il primo, è nato per necessità professionali, ma come a volte capita, si instaura un rapporto che può andare oltre quello di lavoro e, in questo caso, si scopre qualcosa di importante oltre al ruolo professionale della nostra protagonista.
Naturalmente ringraziamo la Dott.ssa Bogazzi per avere accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi… E vi garantisco che ne scopriremo delle belle perché la “candidata” in questione ne ha molte di cose da dire.
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Lei ricopre delle mansioni non comuni nel mondo del lavoro abitualmente conosciuto, ma prima di parlare della “direttrice Dott.ssa Bogazzi”, le chiediamo chi è invece Cinzia? Chi era Cinzia bambina e cosa sognava di essere da grande?

La ringrazio prima di tutto per questa bellissima opportunità e per avere pensato a me nell’ambito di questa importante iniziativa. Io vivo da molti anni a Milano e amo profondamente questa città che mi ha adottata e mi ha fatta crescere, ma io nasco a Codogno e ho sempre vissuto nella campagna lodigiana. Mia madre, lodigiana, proviene da una famiglia di agricoltori e io sono nata e cresciuta nei primi anni della mia vita in cascina. Le mie origini contadine, di cui vado profondamente fiera, mi hanno permesso di affrontare la vita con quello spirito di adattamento e di pragmatismo che gli agricoltori conoscono molto bene. Mio padre invece è toscano, un Carrarino, e anche qui diciamo che il marmo ha permesso di forgiare parte del mio carattere, testardo ma determinato.
Gestire e amministrare Centri Commerciali non credo sia cosa da tutti e, soprattutto, non è cosa semplice. Credo che le molte persone che ne percorrono le gallerie, nemmeno immaginino chi ci sia dietro le quinte e quanto lavori per permettere loro di passeggiare fra le vetrine dei negozi o fare la spesa nei supermercati. Ci può raccontare brevemente in cosa consiste in suo lavoro?

Ho iniziato questo lavoro nell’ormai lontano 1998, appena laureata, e non l’ho mai abbandonato. Gestire un centro commerciale è un lavoro bellissimo e affascinante ma anche complicato. Sintetizzando, e per fare brevemente capire il mio lavoro, io faccio sempre questo esempio: i nostri centri sono come dei condomini, solo che nel nostro caso i condomini sono delle attività commerciali. Il ruolo del gestore è come quello dell’amministratore di condominio, con la differenza che nei nostri complessi entrano quotidianamente migliaia di persone ogni giorno e noi dobbiamo garantire che ogni mattina la struttura sia aperta, pulita, organizzata e perfettamente funzionante. Il minino problema deve essere risolto tempestivamente per permettere alle diverse attività presenti di lavorare senza intoppi e preoccupazioni.
Come è arrivata a scegliere questa professione? So che non è da ieri che è in questo settore.

No, come ho accennato prima, sono in questo settore da 24 anni e ormai sono una “senior” nel nostro ambiente. Ci sono arrivata per puro caso, nel lontano 1998, ero prossima alla laurea in economia e commercio all’Università di Pavia, una mia amica lavorava nella segreteria di un centro commerciale e aveva accettato un trasferimento in Veneto. Mi ha chiesto se la volevo sostituire per qualche mese, ho accettato e non me ne sono mai andata. L’anno successivo sono diventata direttore dello stesso centro e ho poi iniziato un percorso, con le varie aziende con cui ho lavorato, di gestione di diverse strutture nel nord Italia.
Essere donna e ricoprire un ruolo come il suo, di grande responsabilità, pur essendo nell’Italia del 2022, è una cosa rara. Personalmente devo ammettere di non averne incontrate altre di donne direttrici di Centri Commerciali. Quanto può essere complicato per una donna affermarsi in questo ambiente e in ruolo a vocazione maschile?

Le difficoltà sono parecchie, soprattutto quando parlo di certi argomenti. Non è facile trattare e discutere in ambiti prettamente maschili, come ad esempio l’aspetto manutentivo delle strutture, e farsi rispettare e ascoltare. Personalmente non ho mai avuto grandi difficoltà, sia perché ho un carattere abbastanza forte ma, forse, anche perché non ho mai cercato di sostituirmi ad un uomo. Ho la fortuna di essere sempre me stessa e il mio carattere mi ha aiutato moltissimo sul lavoro, rispetto tutti, ma pretendo rispetto, sono una persona empatica e riesco a creare immediato feeling con il mio interlocutore, se capisco che ci sono argomenti poco chiari voglio andare a fondo e, cosa non meno importante, tanti anni di lavoro e, quindi, tantissimi errori, mi hanno permesso di avere un bagaglio personale di esperienza che mi aiuta sempre. Per ultimo, ma la metterei al primo posto, l’umiltà di chiedere se non conosco, di ascoltare gli altri e di imparare da chi ne sa più di me.
Lei è direttrice in tre diverse strutture commerciali, due nel bresciano, a Ghedi e Montichiari e poi il Carrefour di Pavia. Come riesce a conciliare questi tre incarichi importanti e non esattamente vicini tra loro?

Un’organizzazione delle mie giornate quasi maniacale ma anche molto serena. Io vivo sola e sono molto libera di organizzare i miei spazi e il mio tempo. Questo mi aiuta moltissimo e mi permette di gestire il lavoro senza grosse problematiche.
Io, quando penso ad un Centro Commerciale, lo immagino come se fosse un paese, un quartiere di una grande città, dove la gente si ritrova, passeggia anche senza fare acquisti, beve un caffè o compra un gelato ai figli: come una grande piazza dove ci si ritrova. So che su questo argomento lei ci ha messo molto di suo: non si limita alla “sola” gestione e amministrazione dei Centri che dirige, ma è anche molto attiva nel portare il “sociale” all’interno dei suoi Centri, creando molte iniziative importanti nel solidale. Cos’è per lei il Centro Commerciale del 2022 e come sono cambiati rispetto a 20 o 30 anni fa?

Ha colto nel segno, la mia prima iniziativa sociale l’ho fatta nel 1999 a Sant’Angelo Lodigiano quando, in collaborazione della locale sezione della Croce Bianca, abbiamo raccolto 70 milioni di lire, vendendo palline scacciapensieri a 1.000 lire l’una e siamo riusciti a comprare un’ambulanza. Da quel momento mi sono sempre occupata di progetti sociali e dal 2015 ho sempre proposto iniziative di questo tipo che hanno avuto grande risonanza a livello di risultati e di comunicazione.
Due progetti che amo ricordare sono quello dell’Albero Sorridente a Pavia dove abbiamo realizzato con il contributo raccolto, il corridoio magico per ingresso in sala operatoria all’interno dell’ospedale pediatrico/oncologico del San Matteo di Pavia e, sempre con l’Albero Sorridente, abbiamo aiutato nella realizzazione di camere presso l’ospedale pediatrico Il Ponte di Varese.
Quando io proponevo questo tipo di progetti 20 o 10 anni fa venivo guardata inizialmente con sospetto, poi si ricredevano, anche se non si trattava di iniziative usuali per strutture commerciali. Ora invece, per fortuna, il commercio e i centri commerciali sono fortemente orientati al sociale e la mentalità, soprattutto dopo la pandemia, è cambiata ed è in forte evoluzione.
Quindi, per sintetizzare, in una vita sociale, anzi non vita sociale, che ha attraversato gli anni tremendi della pandemia, da cui comunque non siamo ancora fuori del tutto, cosa può fare un Centro Commerciale per il sociale e per la cultura?

Può fare moltissimo. Il prossimo anno nel centro di Pavia realizzeremo un bellissimo progetto che unirà l’Università e le scuole primarie. Il nome del progetto è IlluminiAMOci, perché pensiamo che, in un’epoca così spaventata dal caro energia, dobbiamo cercare forme alternative per restare sempre illuminati e per amare. Vi racconterò questo progetto alla prossima puntata.
Adesso, però, è l’ora di chiusura del Centro e finalmente, l’orario di lavoro è finito. E Cinzia, fuori dal lavoro che fa? Passioni? Hobbies?

Io ho una vita, per fortuna, ricca di tutto; amici, famiglia, sport, passioni. Ho la fortuna, sempre grazie al mio carattere, di avere moltissimi amici, ho gli stessi amici di quando ero piccola e anche persone nuove che fanno parte della mia vita. Amo il mare e passo le mie estati nella casa di famiglia a Marina di Carrara, vado quotidianamente in palestra, mi piace uscire con le amiche, amo il cinema e ci vado spesso, soprattutto in inverno. Sono una grande appassionata di moda e di shopping e spesso dedico il mio tempo a questo hobby. Potrei continuare per pagine intere, inoltre, essendo un’appassionata per natura, sono poche le cose che non suscitano il mio interesse: quelle che non mi incuriosiscono… le evito!
Della sua “lodigianità” e delle sue origini di Codogno abbiamo già parlato in questa intervista. Codogno è una città davvero molto bella e ricca di storia e cultura, un simbolo potrei dire della ruralità di provincia. Purtroppo, è finita sulle prime pagine non per la sua stori e le sue bellezze, ma per la tragedia della pandemia, che ha trasformato la città e il suo territorio nella prima zona rossa. Ma anche in questa tragica situazione, lei è stata capace di lasciare un segno importante: perché non ci riparla del suo amore per Codogno e di quelle t-shirt che sono diventate un simbolo di rinascita?
Nasco orgogliosamente a Codogno. Vivo a Milano da 12 anni ma la mia famiglia vive a Codogno e dintorni.
Il 21/02/20 non lo dimenticherò mai, mi sveglio con la notizia del primo caso di corona virus a Codogno. Leggo la notizia, ma non gli do peso. Nel giro di pochissime ore la nostra vita è cambiata, non sapevo ancora che saremmo diventati degli appestati per il mondo intero e che non sarei più potuta rientrare nel mio paese per tantissimo tempo. Nel giro di qualche ora il mondo ha iniziato a guardarci con sospetto e nessuno di noi era pronto ad una cosa del genere.
In quel momento la mia disperazione si è trasformata in riscatto e voglia di far vedere chi fossimo. Nasce così. in una triste sera di solitudine, la voglia di gridare che non era una vergogna essere di Codogno, ma un orgoglio. Lancio l’idea ad un’amica, realizzo il prototipo di due magliette, una con la scritta “Non per vantarmi ma sono di Codogno” e l’altra con la scritta “Non per vantarmi ma ho un’amica di Codogno”. La pubblico su facebook di notte e la mattina dopo sono sommersa di messaggi, trovo subito gli sponsor per realizzarla, ne produciamo 5.000 e con l’aiuto della proloco di San Fiorano le vendiamo a 5 euro l’una. Abbiamo raccolto 16.000 euro, totalmente donati alla Croce Rossa di Codogno. È stata una bellissima iniziativa non solo per lo scopo benefico, ma soprattutto perché grazie all’impegno delle magliette siamo stati impegnati mentalmente nei mesi di chiusura totale e non abbiamo pensato così assiduamente a cosa ci stesse succedendo.
Si descriva con tre aggettivi.

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Redazione: Desenzano del Garda
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